Se Posillipo cambia volto senza i pini della memoria

di Ernesto Mazzetti
Domenica 4 Novembre 2018, 08:00
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Me lo ricordo ancora il pino di Posillipo. Sta lì, in un mio recesso celebrale. Quel che non so precisare se è il pino vero, il «pinus pinea» che s'elevava con la sua chioma possente alle pendici del colle di Posillipo, oppure solo la sua immagine, il pino delle vedute e delle cartoline. Il ricordo della realtà si confonde con l'oleografia. Perché quel pino, verità o raffigurazione che sia, resta per quelli della mia e delle precedenti generazioni, un simbolo di Napoli.

Quel pino non c'è più. Per oltre un secolo l'hanno dipinto e fotografato: la sua folta chioma segnava il limite occidentale del panorama della città, contrapponendosi all'altro pennacchio, quello dei vapori esalati dal Vesuvio, che chiudeva a levante l'arcata del golfo. Immagine consacrata da una cartolina del grande fotografo Sommer: siamo a fine Ottocento, lo si capisce scorgendo in basso il viale Elena ancora incompiuto. Ce n'erano state altre, già nel 700, di riproduzioni di alberi posillipeschi: ma alcune, chiaramente, riproducenti conifere diverse, non «quel pino». Secondo Vittorio Paliotti, amabile e acuto storico di uomini e cose della vecchia Napoli, che ne scrisse anni fa, la data di nascita del pino, il «nostro pino», è da collocarsi dopo il 1860, ovvero dopo concluso il ciclo pittorico della Scuola di Posillipo. Perché? Vittorio cita le molte vedute tratte dai «posillipini» dalle rampe di Sant'Antonio. E in esse il pino non figura. La ritengo scusami Vittorio! una prova non determinante. Il pino sorgeva più in alto del punto scelto da quei pittori per ritrarre il panorama da Posillipo. Ovvero, già esistesse oppure no, era fuori campo.

Nell'ultimo settantennio Posillipo ha mutato volto. Quando l'edilizia ha aggredito la collina, s'è fatta largo tra residue boscaglie, terrazzamenti coltivati, anfratti tufacei. Stratificazioni cementizie si sono sovrapposte l'una all'altra partendo dalla strada che Murat aveva voluto si prolungasse da Mergellina al capo. La vasta frana staccatasi dalla collina nel 1884 costituì una prima occasione per l'edilizia di inerpicarsi lungo le pendici del colle. Nacque il parco Carelli: licenza di costruire in cambio di opere di consolidamento. 

Ne seguirono altre, di convenzioni col Comune. Nel 1931 un'impresa privata costruì la funicolare di Mergellina per agevolare l'accessibilità ai nuovi quartieri che già andavano sorgendo. Saliva attraverso giardini e boscaglie offrendo panorami suggestivi. Solo anni dopo la rilevò il Comune. Ma intanto molti di quei giardini avevano lasciato posto a parchi immobiliari. 

Sono vicende note, e non commendevoli, della storia urbanistica di Napoli nella seconda metà del Novecento. Comunque il verde, seppur non compatto, a Posillipo è rimasto. Apprezzata opera del regime fascista fu la realizzazione del grande parco alla sommità del colle, raggiungibile anche con l'imponente ponte scavalcante Santo Strato e perfino con la teleferica che partiva da Fuorigrotta. La funivia non c'è più ed il parco ha cambiato nome: si chiamava della Rimembranza, ora è dedicato a Virgilio.

Ma oggi, questo verde residuo, lungo il reticolo di strade o raggruppato in parchi pubblici e privati, sopravvissuto all'estendersi del tessuto edilizio, subisce nuove, allarmanti minacce. Non più avidità dell'uomo, ma aggressioni della natura. Subdola, silente, ha cominciato a far danni la cocciniglia. Non so quale delle oltre 7.000 specie di questa immensa famiglia di insetti, diffusi in ogni regione italiana e noti per la loro golosità di piante, foglie, radici. Certo è che ha trovato abbondante alimento nei pini di Posillipo. Ne attacca le radici fino a provocarne il disseccamento. Facilmente si diffonde da una pianta all'altra. Pare si sia già di fronte ad una situazione epidemica che impone tempestivi abbattimenti. Non sarebbe il primo caso di massicci impoverimenti del verde pubblico e privato subiti dalla città. Ricordiamo tutti la moria di palme infettate del micidiale punteruolo rosso emigrato dall'Africa.

Seconda drammatica aggressione al verde di Posillipo è stata portata dai temporali degli ultimi giorni. Hanno fatto strage di alberi lungo le strade, da Mergellina fin su al Virgiliano, e in spazi privati: soprattutto i pini, maggiormente esposti per l'altezza delle folte chiome. 

Ci si chiede se vi siano state manchevolezze che hanno favorito tanti danni al patrimonio arboreo. Forse la manutenzione assidua e potature adeguate ne avrebbero salvato una parte. Qualcosa, comunque, è possibile fare almeno per soccorrere i pini aggrediti dalla cocciniglia e contenere la diffusione di questo nemico del verde. Da quando, quasi mezzo secolo fa, morì il più celebrato dei pini di Posillipo, quello delle cartoline, l'alberatura collinare ha subito già troppo drastiche riduzioni per consentire ad un miserabile insetto di arrecargli ulteriori danni.
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