Poliziotto ucciso a Napoli, l'autista killer speronò i carabinieri tre anni fa

Poliziotto ucciso a Napoli, l'autista killer speronò i carabinieri tre anni fa
di Leandro Del Gaudio
Martedì 5 Maggio 2020, 08:30
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Tre anni fa speronò un'auto dei carabinieri. Fuggiva in un'auto rubata, dopo aver messo a segno un colpo all'interno di un bar, cercò di evitare gli arresti, con il classico colpo dell'ariete: una spinta all'acceleratore, una sterzata e la frenata in extremis, in modo da sbilanciare chi era al volante dell'auto delle forze dell'ordine. Manovra maledettamente simile a quella che ha ucciso l'agente scelto Pasquale Apicella, lunedì 27 aprile in via Calata Capodichino, un episodio che spunta dal recente passato di Fabricio Hadzovic. In tre anni due volte in auto dalla parte sbagliata. Nel 2017, subito dopo un colpo in un bar tabaccheria di Sant'Antimo, pochi giorni fa a Capodichino. Quanto basta ad alimentare l'indignazione di amici, parenti, colleghi dell'agente ucciso, che reclamano più rigore nell'applicazione delle pene inflitte dai giudici. Chiaro il post via facebook da parte della sorella dell'agente ucciso: «Se lo Stato avesse fatto il suo dovere, Lino oggi sarebbe ancora vivo». A cosa si riferiva? Basta leggere il fascicolo di Fabricio per quel colpo messo a segno tre anni fa, culminato con lo speronamento dell'auto dei carabinieri: condannato a 4 anni e otto mesi con il rito abbreviato per tentata rapina impropria e resistenza a pubblico ufficiale, Fabricio riesce ad ottenere uno sconto in appello. Una sorta di concordato, interamente fondato sulla piena ammissione delle proprie responsabilità, ma anche sulla rinuncia ad ogni motivo di appello. Si giunge così a una condanna a tre anni e due mesi, che lo rimette in libertà prima del tempo (per buona condotta), restituendo piena libertà di azione al bandito dalla guida spericolata. Spiega la penalista Raffaella Pennacchio: «Ha scontato interamente la sua condanna in carcere, dove ha avuto la possibilità di lavorare come cuoco e di mandare un po' di soldi alla moglie e ai figli». Nessuno scandalo, nessuna falla da parte dello Stato, secondo la penalista che punta invece a ribaltare l'accusa di omicidio volontario e di dimostrare - dal suo punto di vista - il carattere accidentale dello scontro che ha provocato la morte dell'agente.
 


E risultano strazianti le parole postate sui social dalla moglie di Pasquale Apicella, la vedova Giuliana Ghidotti, per ricordare l'anniversario del proprio matrimonio: «Quattro anni fa, in questo stesso giorno, la mia casa era piena di felicità. Stavo indossando il mio vestito da sposa, nostro figlio era pronto in giacca e cravatta per accompagnarci in questo giorno che con sudore e sacrificio ci eravamo guadagnati. Mi ricordo la mia fretta di correre da te, avevo passato giorni a immaginare il momento in cui ti avrei visto lì, ad aspettarmi all'altare con la divisa che tanto avevi sognato. Ed eri bellissimo, in quella chiesa c'era tutto ciò di cui avessi bisogno. Avremmo dovuto stare lontani due giorni prima del matrimonio, perché avevamo già la nostra quotidianità insieme ma non ci sei riuscito. Eri comunque venuto da me, nonostante il mio vestito fosse pronto nella stanza, perché io e te lontani proprio non riuscivamo a stare. Mi promettesti di non sbirciare». E ancora: «Le tue promesse le hai sempre mantenute, tutte. Dopo quattro anni sono qui - conclude nel giorno dell'anniversario del suo matrimonio - completamente svuotata da quell'amore che per tanti anni ci ha riempiti e gli occhi che ti cercano in ogni angolo. Nulla sarà mai più come prima, però la nostra piccolina in questi pochi giorni è cambiata tanto. Ha il tuo sguardo e so che questo lo hai fatto tu, per me, perché sai che io senza quei brillanti non ci so vivere». Poi tocca a Nella Apicella, sorella dell'agente ucciso, spostare l'attenzione su un possibile caso di giustizia a maglie larghe, tra abbreviati, concordati, permessi premio e buona condotta: «Non abbiamo distrutto un ospedale, (riferendosi alla devastazione del Pellegrini, per mano di alcuni amici del rapinatore 15enne ucciso da un carabiniere), non abbiamo sparato contro una caserma e non abbiamo incendiato il campo rom di Giugliano. Ma voglio giustizia per mio fratello, se lo Stato avesse compiuto il suo dovere 3 anni fa, quando questi individui hanno reagito nello stesso modo contro l'Arma dei carabinieri, mio fratello oggi sarebbe qui.
Purtroppo la giustizia non mi porterebbe indietro l'amore nostro, ma eviterebbe di spezzare altre vite».

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