«Al boss Di Lauro jr manderò le poesie scritte da mio fratello»

«Al boss Di Lauro jr manderò le poesie scritte da mio fratello»
di Maria Chiara Aulisio
Lunedì 18 Marzo 2019, 07:30
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Era il 24 gennaio del 2005 quando Attilio, 29 anni appena compiuti, nel suo negozio di telefonia a Capodimonte, pronto a chiudere di lì a poco, rimase vittima di uno scambio di persona nel pieno della faida tra il clan Di Lauro e gli scissionisti. Il sicario sparò a bruciapelo senza neppure domandarsi se era davvero quello l'uomo da abbattere. Cinque colpi di pistola esplosi contro uno qualsiasi, una giovane vita spezzata in pochi istanti, e per errore. Un dolore enorme che avrebbe segnato, da quel giorno e per sempre, l'esistenza di tutta la famiglia Romanò. Ieri mattina, don Tonino Palmese, vicario episcopale della Chiesa di Napoli e presidente della Fondazione Polis per i familiari delle vittime innocenti della criminalità, Maria, la sorella di Attilio, l'ha voluta sull'altare, nella chiesa dell'Arciconfraternita dei Pellegrini, dove il sacerdote dice messa ogni domenica alle 10.30. Nella stessa chiesa, don Tonino, ha voluto che ci fossero anche il questore, Antonio De Iesu, e il comandante provinciale dei carabinieri di Napoli, Ubaldo Del Monaco.
 
Un incontro, una preghiera, una stretta di mano e una testimonianza, quella di Maria, a pochi giorni dall'arresto del boss Marco Di Lauro, preso dopo 15 anni di fuga: «Gli manderò le poesie di mio fratello, - dice - quelle che scriveva col cuore e dedicava a tutti noi. Voglio fargliele leggere, Di Lauro deve sapere chi era Attilio, un ragazzo perbene, un napoletano buono che tanto aveva ancora da offrire a questa città e che invece lui ha scelto di far morire». Indagini complesse, quelle per far luce sull'omicidio del giovane, tra bugie e omertà, che arrivarono a una svolta grazie alle rivelazioni dei primi collaboratori di giustizia. Vincenzo Lombardi, da pentito, confessò di aver guidato il motorino con cui Mario Buono, il killer condannato in via definitiva all'ergastolo, raggiunse il negozio dove fu assassinato Romanò. E l'ordine sarebbe partito proprio da Marco Di Lauro. Da qui il ringraziamento di Maria alle forze dell'ordine: «Un arresto importante - aggiunge - che servirà a chiudere il cerchio sul piano giudiziario e, insieme, a far capire a tutti che la giustizia non si ferma e, prima o poi, porta a termine il suo corso. Noi siamo sempre stati fiduciosi e non abbiamo mai perso la speranza».

Grazie alle forze dell'ordine, dunque, e grazie anche a don Tonino Palmese che, con la fondazione Polis, è vicino da sempre alla famiglia di Attilio. Il sacerdote, l'anno scorso, durante la Settimana Santa, riuscì nella non facile impresa di portare in carcere la mamma di Attilio, Rita, insieme con un bel numero di familiari di altre vittime, e con i detenuti celebrare la via crucis nei viali del carcere. «Arrivati in chiesa, - racconta don Tonino - chiesi a Rita di rivolgere un augurio pasquale ai detenuti. All'inizio non voleva, poi lo fece e quando li salutò raccontò che quel giorno sarebbe stato il 40esimo compleanno di suo figlio e che lei, di fronte a quei volti che le avrebbero dovuto ricordare la mano bastarda che dieci anni prima glielo aveva ucciso, sentì invece che suo figlio le suggeriva parole diverse». In quell'occasione - ricorda Palmese - la Romanò disse che la sua missione non era quella di rappresentare la maternità di Attilio ucciso dalla camorra, ma di essere madre di ognuna delle persone che erano lì rinchiuse. «Ecco, - conclude don Tonino - per la prima volta nella mia vita ho visto trecento uomini tutti in piedi che applaudivano e piangevano umilmente davanti alla propria mamma».

Difficile parlare di perdono per Maria Romanò che, invece, preferisce sperare nel pentimento e chiede che il boss Marco Di Lauro non venga lasciato solo: «Perdonare non è possibile, ma credere nel cambiamento sì. Lo so che il percorso è difficile ma tutti hanno il diritto di provarci. E per farlo c'è un gran bisogno che qualcuno che gli stia accanto».
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