Faida di camorra, l’allarme della Dda: «Troppe confessioni flop»

Faida di camorra, l’allarme della Dda: «Troppe confessioni flop»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 26 Novembre 2021, 06:00 - Ultimo agg. 17:10
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Perché non indicano dove si trovano i patrimoni accumulati dopo anni di attività illecita? Perché si limitano ad ammettere quanto è ampiamente dimostrato dalle indagini, senza però accusare complici e rivali negli affari illeciti?

Domande nel chiuso di un’aula di giustizia dove si sta celebrando il processo a carico di sette killer reo confessi. Anzi: sette presunti boss e esecutori materiali di un deltto, tutti riconducibili alla cosiddetta ala scissionista di Secondigliano che, giunti al termine del processo per un agguato consumato anni fa (omicidio Luigi Barretta, maggio del 2005), hanno messo in scena una sorta di canovaccio corale: hanno preso la parola, uno dopo l’altro per confessare.

Si sono dissociati - dicono - stop camorra. Sentiamoli, mentre recitano a soggetto: sono Cesare Pagano, Carmine Pagano, Carmine Amato, Ciro Caiazza, Enzo Notturno, Lucio Carriola, Salvatore Rosselli.

Sette killer, sette boss, un solo verbo: «Abbiamo capito gli errori fatti in passato, la nostra vita è cambiata, chiediamo scusa alla famiglia del morto, ci dispiace. Qualcuno accenna anche qualche accusa a carico di altri soggetti, ma c’è poco da preoccuparsi, non si tratta di vere e proprie collaborazioni con la giustizia, ma di uno schema consolidato da tempo. Funziona così: si può accusare una persona deceduta, un pentito o uno che ha già rimediato altri ergastoli definitivi (per il quale una condanna in più cambierebbe poco).

Ma non si deve aggiungere altro. Una strategia vincente su cui intervenne qualche anno fa lo stesso procuratore Gianni Melillo, che è tornata a riproporsi in questi giorni, con la cosiddetta “alzata di mano” dei boss scissionisti. Stando a un semplice calcolo statistico, la confessione in extremis produce degli sconti e consente di sfuggire all’ergastolo. Niente carcere a vita, condanne in continuazione con altri reati, la certezza di lasciare la cella prima o poi. Un punto sul quale la Dda è pronta a dare battaglia, stando alle conclusioni del pm anticamorra Maurizio De Marco, che - assieme alla collega Vincenza Marra - ha ottenuto in questi anni centinaia di condanne a carico di boss, killer e protagonisti delle tre faide che hanno insanguinato Secondigliano e dintorni (in uno scenario investigativo che vede in campo i pm Lucio Giugliano e Gianluca Caputo). Gup De Lellis, ecco le conclusioni del pm De Marco: «Chiedo l’ergastolo per i sette imputati, non vanno concesse le generiche». 

Ma chi sono i sette killer reo confessi? Parliamo dei boss di Arzano, Melito, comuni a ridosso dell’asse mediano, dove - due notti fa - è stato consumato un agguato all’interno di un bar, feriti due clienti che nulla avevano a che vedere con il crimine organizzato. È l’agguato al Roxy bar contro quelli della “167” di Arzano, siamo in una polveriera. M torniamo alle strategie processuali della Procura di Napoli, proprio in tema di dissociazione: «Niente generiche, niente sconti o benefici», dal momento che si tratta di confessioni posticce che poco o nulla aggiungono all’inchiesta e al lavoro emerso dal contraddittorio. Bisogna distinguere chi si dissocia dall’apporto di un collaboratore di giustizia, che offre un ventaglio di conoscenze più ampio, specie a proposito di complicità e di riciclaggio a proposito di patrimoni mafiosi.

Una distinzione che va scandita sempre, anche alla luce di quanto avviene nel corso dei vari gradi di giudizio. Confessioni o presunte forme di dissociazione che incidono anche e soprattutto in appello, quando - prima della camera di consiglio - tornano le alzate di mano e la richiesta di scuse per strappare lo sconto per abbattere l’ergastolo e consentire a killer patentati di tornare in circolazione.

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