Car rent all'aeroporto di Napoli: le mani della camorra sul business turismo

La cosca imponeva tasse persino sul gioco d'azzardo nelle partite di poker il garante del tavolo incassava 500 euro

L'aeroporto di Capodichino
L'aeroporto di Capodichino
di Viviana Lanza
Mercoledì 28 Giugno 2023, 08:57 - Ultimo agg. 16:23
4 Minuti di Lettura

Da un lato il gioco d'azzardo, le estorsioni, l'usura, il riciclaggio e le società cartiere, dall'altro gli affiliati del clan e l'interesse ad allungare le mani sulla gestione delle auto a noleggio nella zona dell'aeroporto di Capodichino. Con due distinte ordinanze di custodia cautelare la Dda di Napoli ha alzato il velo su un nuovo capitolo giudiziario nella storia del clan Contini, organizzazione malavitosa che fa parte della cosiddetta Alleanza di Secondigliano. Gli arresti eseguiti ieri sono stati sedici in totale: tre per il filone investigativo su struttura e fedelissimi del clan Contini e tredici per il filone su usura, gioco d'azzardo e una serie di vari reati che vanno dall'esercizio abusivo di attività finanziaria al trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, autoriciclaggio e false fatturazioni per operazioni inesistenti, il tutto al solo scopo di agevolare il clan del Vasto e dell'Arenaccia. L'operazione è stata svolta dai carabinieri del nucleo investigativo di Napoli e della compagnia Stella.

Molti degli episodi al centro delle indagini ruotano attorno al ruolo degli Attardo (Gaetano, Salvatore, Michele, Pasquale e Vincenzo), raggiunti da una misura cautelare in carcere insieme a Mario Maietta e Umberto Pisco; agli arresti domiciliari Ciro Presta, Sirenella Mele, Giovanni Esposito, Gennaro e Francesco Patierno, Gennaro Tammaro. Gli Attardo sono accusati di aver monopolizzato il gioco d'azzardo e messo sotto usura giocatori incalliti e imprenditori in difficoltà (tra le vittime anche un cantante neomelodico con proprio canale YouTube), mentre gli altri indagati sono a vario titolo imprenditori e professionisti sospettati di aver contribuito al giro di false fatture emesse da società cartiere. Nel filone sulla struttura del clan Contini risultano coinvolti, invece, Vincenzo Madonna, Gaetano Ammendola e Alfredo De Feo, in carcere per associazione di stampo camorristico.

È una delle zone su cui il clan Contini aveva messo gli occhi, in particolare attraverso il ruolo di Madonna, imprenditore, tra gli altri, nel settore dell'autonoleggio nell'area di Capodichino. E non è tutto. Secondo alcuni pentiti, i Contini avevano il controllo anche su ditte che gestivano le pulizie nella zona aeroportuale, al punto che un ex affiliato al clan ammette ai pm: «Temo per la mia sicurezza durante i vari trasferimenti per venire agli interrogatori in Procura. Ad esempio, sbarcare a Capodichino non mi mette in condizione di riconoscere tutti quelli che ivi lavorano, come gli addetti alle pulizie perché ci sono dipendenti di ditte del clan Contini».

Agli atti ci sono dieci pizzini, biglietti con appunti e disposizioni per i propri familiari. «Alcuni biglietti hanno un contenuto chiaramente usuraio ed estorsivo, oltre a palesare come Gaetano Attardo continuasse a gestire gli affari illeciti anche durante la latitanza attraverso i figli», scrivono gli inquirenti che hanno recuperato i pizzini all'interno del cellulare di Patrizio Russo (ex imprenditore al soldo degli Attardo e ora collaboratore) che li inviava tramite WhatsApp al figlio.

Nelle bische dove c'erano gli uomini legati al clan Contini c'era un particolare garante, il «garante del tavolo». Cosa faceva? «Garantiva per un giocatore». Cosa ci guadagnava? «Il guadagno del garante consisteva nella percentuale di tasse sui colpi messi a segno dal giocatore durante tutta la partita che poteva durare tre o quattro ore. Il guadagno era di circa 500 euro a partita».

«Non riuscivo ad ottenere un prestito dalle banche e mi rivolsi a una persona a me nota come Gaetano Attardo», racconta Patrizio Russo quando decide di rivolgersi all'autorità giudiziaria e collaborare. «Il primo prestito fu di 10mila euro in contanti a fronte dei quali Attardo mi disse che avrei dovuto versargli 800 euro mensili come quota interessi fino a quando non avessi versato, in un'unica soluzione, la quota capitale.

Non sono mai riuscito a restituire quei 10mila euro tutti insieme e per questo ho pagato per due anni e mezzo 800 euro mensili, per un totale di 24mila euro di interessi».

Russo racconta di aver chiesto poi, nel corso degli anni, altri prestiti arrivando a un totale di oltre 334mila euro. Il tariffario degli usurai era questo: per un prestito di 4mila euro bisognava versare rate da 400 euro mensili a titolo di interessi fino a quando non si riusciva a restituire, in un'unica tranche, la quota capitale; per un prestito da 8mila euro rate da 800 euro mensili; per 20mila euro rate da 1.200 euro; per 50mila euro rate da 5mila euro al mese. Si entrava così in un tunnel senza via d'uscita.

«Non tirare la corda, perché pure fratello e fratello o padre e figlio, dopo salta il cervello in aria. Come ti devo dire?. Ti spacco la testa». Le minacce, quando non si riusciva a rispettare il calendario dei pagamenti deciso dal clan, erano spesso molto esplicite.

© RIPRODUZIONE RISERVATA