Castellammare, Comune sciolto per camorra: appalti “sospetti” e parentele con i boss

Castellammare, Comune sciolto per camorra: appalti “sospetti” e parentele con i boss
di Dario Sautto
Giovedì 24 Febbraio 2022, 23:50 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 07:36
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Sei mesi di indagini sulla macchina amministrativa e sulle scelte politiche hanno consegnato nelle mani del prefetto di Napoli un quadro ritenuto «allarmante», in vista dell’arrivo dei fondi del PNRR, vero obiettivo delle mafie e, dunque, anche della camorra stabiese. Ma anche i primi sospetti su alcuni intrecci tra politica e camorra, che erano già emersi nell’ambito delle inchieste dell’Antimafia denominate «Olimpo» (e il suo stralcio sui permessi nell’ex insediamento industriale Cirio, indagini tra il 2013 e il 2018) e «Domino» (2017-2019). Per questo motivo, ieri mattina il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha proposto in Consiglio dei ministri di votare lo scioglimento dell’amministrazione comunale di Castellammare di Stabia per infiltrazioni della camorra, come contenuto nella relazione firmata dal prefetto Claudio Palomba a inizio gennaio. I clan erano, dunque, riusciti a insinuarsi a Palazzo Farnese, attraverso appalti sospetti e parentele pesanti, anche con alcuni consiglieri comunali e - è il sospetto - con almeno una nomina nella giunta guidata dal sindaco Gaetano Cimmino. Inoltre, i clan Cesarano e D’Alessandro erano pronti a mettere le mani sui finanziamenti previsti nel Piano nazionale di resistenza e resilienza. Questo è quanto contenuto nella corposa relazione, compresa di allegati, che supera le duecento pagine e che racconta anche di ombre e sospetti su alcuni atti amministrativi.

Neanche dopo l’uccisione in due agguati di camorra di due consiglieri comunali – Sebastiano Corrado nel 1992 e Luigi Tommasino nel 2009 – erano state riscontrate infiltrazioni così pericolose da determinare lo scioglimento per camorra delle amministrazioni comunali. Nel 2010, al neoeletto sindaco Luigi Bobbio furono affidate delle prescrizioni precise, dopo sei mesi di indagine da parte della Commissione d’accesso che aveva analizzato l’operato dell’amministrazione precedente guidata da Salvatore Vozza. La Commissione d’accesso si è insediata nuovamente a Palazzo Farnese lo scorso 26 maggio, due giorni dopo la nomina di Emanuele D’Apice come nuovo presidente del consiglio comunale al posto del finanziere Vincenzo Ungaro. Un cambio alla presidenza dell’assise salutato da un discorso – condito da applauso – nel quale D’Apice faceva un inquietante omaggio al defunto papà Luigi. Non una persona qualunque, secondo l’Antimafia, visto che «Gigino ‘o ministro», come veniva chiamato in certi ambienti Luigi D’Apice, era stato condannato per camorra perché ritenuto il volto politico del clan Cesarano, tanto influente da causare lo scioglimento per infiltrazioni del Comune di Pompei nel 2001. Quella di Emanuele D’Apice non era l’unica parentela «scomoda» riscontrata dagli ispettori nominati dalla Prefettura. Su tutti, la cognata del boss Paolo Carolei, di recente scarcerato per fine pena dopo aver trascorso gli ultimi dieci anni al 41-bis, e la consigliera imparentata con il defunto boss Michele D’Alessandro, la cui vedova Teresa Martone era ritenuta dall’Antimafia alla guida del clan fino al suo arresto a dicembre 2018. 

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Tra concessioni non revocate, appalti sospetti e affidamenti diretti a ditte vicine alla camorra, a pesare molto sulla decisione c’è proprio la sentenza di primo grado del processo Olimpo, con la condanna a otto anni di carcere per Adolfo Greco, ex uomo di fiducia del defunto boss Raffaele Cutolo e per anni imprenditore molto influente anche nelle decisioni politiche locali, provinciali e regionali, con contatti trasversali con vari partiti. In alcune intercettazioni a margine dell’inchiesta Olimpo compaiono anche frasi che riguardano alcuni imprenditori edili molto vicini al papà del sindaco Gaetano Cimmino, che non hanno avuto rilevanza dal punto di vista penale ma che hanno pesato sullo scioglimento. Nell’inchiesta Domino, invece, è emerso il ruolo di Sergio Mosca, uno dei reggenti del clan D’Alessandro, che avrebbe gestito attraverso una sua ditta il servizio di pulizie all’interno degli uffici comunali, prima del passaggio all’ospedale San Leonardo.

Suo fratello è stato per quarant’anni dipendente del Comune ed è andato in pensione solo nel 2019.  

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Gaetano Cimmino era stato eletto nel 2018, al termine di una campagna elettorale condita da «veleni» e da episodi inquietanti denunciati da alcuni candidati. E si era arrivati al voto dopo la sfiducia dell’ex sindaco Tony Pannullo, ascoltato in Commissione Antimafia dopo aver denunciato «il fiato sul collo della camorra». Da primo cittadino, Pannullo si era trovato in ufficio addirittura un elemento di spicco del clan D’Alessandro che gli chiedeva la gestione di un parcheggio. Clan D’Alessandro che – come emerge da varie inchieste – aveva messo le mani pure su alcuni subappalti alla Fincantieri e sulla gestione di servizi essenziali nel settore sanitario, come quello delle ambulanze per l’ospedale.

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