Clan Sangermano, 25 arresti: usura, racket e l'inchino della Madonna al boss

Clan Sangermano, 25 arresti: usura, racket e l'inchino della Madonna al boss
di Carmen Fusco
Venerdì 4 Novembre 2022, 07:05 - Ultimo agg. 18:33
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L'inchino della Vergine del Rosario davanti alla villa bunker dei boss, la reazione stizzita del parroco don Fernando Russo che abbandonò la processione e quella di Beniamino Depalma, vescovo dell'epoca che condannò con fermezza l'episodio sono la fotografia dell'ostentazione di un potere ottenuto con la prepotenza, con le armi e con l'appoggio, a volte spontaneo ed altre indotto dalla paura, di colletti bianchi e amministratori locali. Un potere che si è basato sull'imposizione di prodotti, come mozzarelle e calcestruzzo, sulle estorsioni e sull'usura, sul trasferimento fraudolento di valori, sull'illecita concorrenza e sul riciclaggio. Ieri, dopo un'inchiesta durata oltre 4 anni e riferita soprattutto al periodo che va dal 2016 al 2019, si è frantumato sotto gli effetti di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere che ha messo alla sbarra il clan Sangermano, facendo scattare le manette ai polsi di Agostino, il capo, e di Nicola suo fratello e soprattutto braccio destro. 

Con loro a finire in cella sono state altre 23 persone coinvolte a vario titolo e in vari ruoli nell'organizzazione che, soprattutto dalla caduta del cartello criminale gestito dai Russo, si è radicata non solo nel territorio dell'area nolana ma anche in quello irpino. E infatti gli affiliati sono tutti residenti in quella terra di confine tra la provincia di Napoli e quella di Avellino. Si tratta di Luigi Abate, Vincenzo Albi, Gennaro Ariano, Buonincontri Giuseppe, Antonio Catapano, Giuseppe Della Pietra, Salvatore Della Ratta, Giuseppe Foglia, Angelo Grasso, Giuseppe Manzi, Giovanni Marra, Ezio Mercogliano, Francesco Mercogliano, Giovanni Minichini, Clemente Muto, Benedetto Napolitano, Paolo Nappi, Michele Sangermano, Roberto Santulli, Luigi Sepe, Onofrio Sepe, Salvatore Sepe, Luigi Vitale.

Misure emesse dal tribunale di Napoli ed eseguite dai carabinieri del nucleo investigativo del gruppo di Castello di Cisterna oltre che da personale della Direzione Investigativa Antimafia, nell'ambito di una indagine coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Nel piccolo centro alle porte di Nola, poco più di tremila anime, sono stati anni di pedinamenti e di attività di intelligence, di microspie e di intercettazioni telefoniche. Un tassello al giorno per ricostruire l'impresa criminale di Agostino, ex enfant prodige della mala oggi poco più che quarantenne. Figlio d'arte - suo padre Carmine fu molto vicino a Raffaele Cutolo e lo trovarono impiccato in una cella del carcere di Termini Imerese nel 1985 dopo essere diventato collaboratore di giustizia - il boss del Bel Sito ha cominciato a muoversi nell'ambiente della delinquenza già all'età di 15-16 anni. È proprio lui a raccontarlo a un compariello, come emerge da una delle tante intercettazioni contenute nelle 1.640 pagine dell'ordinanza di applicazione e di rigetto di misura cautelare coercitiva personale. 

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Piccoli furti, auto soprattutto. Poi il salto di qualità e l'ascesa al ruolo di capo di un sodalizio autonomo riconosciuto e rispettato. Un gruppo che il primogenito della famiglia si decise a fondare soltanto dopo la cattura dei fratelli Russo, avvenuta nel 2009. I giudici, per descriverne il profilo criminale, hanno riportato diverse dichiarazioni di collaboratori di giustizia che a più riprese ne hanno documentato attività e collegamenti. Nel territorio, a leggere la lunga e dettagliata ordinanza, i Sangermano hanno fatto razzie: materiali edili imposti ai maggiori imprenditori della zona, costretti a rifornirsi presso la ditta di famiglia, mozzarelle di bufala introdotte con la persuasione della forza nei menu di numerosi ristoranti del Napoletano e dell'Avellinese oltre che nei supermercati. E poi soldi dati in prestito e numerosi altri interessi che hanno alimentato un business cresciuto a dismisura. Basti pensare al valore dei beni sequestrati ieri: circa 30 milioni di euro tra immobili, società, auto e rapporti finanziari. D'altra parte l'organizzazione messa in piedi era degna della trama di un film. Ognuno un ruolo: tra gli uomini finiti in manette c'è anche chi si occupava del controllo e della bonifica del territorio, uno che non si separava mai da uno scanner per poter rendere sempre conto al capo delle conversazioni delle forze dell'ordine. E poi la villa di famiglia, quella dell'inchino, nella frazione di Livardi: telecamere e dispositivi perimetrali per avvertire in tempo ogni movimento sospetto. E ancora l'armeria, nascosta nel deposito di un cugino anche lui finito in manette, il terreno a Livardi, dove Agostino Sangermano incontrava gli imprenditori taglieggiati, la masseria a Marzano di Nola per i summit di camorra e il bar della frazione di San Paolo Bel Sito, punto di ritrovo degli affiliati. A ricoprire un ruolo alche le donne per le quali spesso il boss usava espressioni sessiste, intrise di insulti e di toni violenti. 

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