Claudio, morte in cella a 34 anni: la rabbia di Poggioreale

Claudio, morte in cella a 34 anni: la rabbia di Poggioreale
di Maria Pirro
Giovedì 14 Febbraio 2019, 07:30
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Ancora proteste, al carcere di Poggioreale, per la morte del detenuto 34enne Claudio Volpe: 120 chili, una figlia di 5 anni, originario di Pianura. Meccanico sin da bambino, senza più il papà, emigrante di ritorno da Milano, fruttivendolo con un furgoncino sotto casa fino all'arresto. «Ma una condanna per droga non si può scontare con la morte», sussurra Santina, la sorella del giovane scomparso all'improvviso domenica scorsa. «Non si può per una febbre a 38 e mezzo», urla Valentina Pace, vedova a 32 anni. «No». Anna Russo, la madre, non ce la fa neanche a parlare.
 
Da due giorni familiari e amici manifestano davanti all'istituto penitenziario, travolti dal dolore. Ai piedi del «mostro di cemento», come chiamano questa struttura, bloccano al mattino la strada. I parenti srotolano uno striscione, chiedono «verità e giustizia», sono arrabbiati. Perché è mistero sulle cause della tragedia. Due le inchieste aperte: una della Procura, l'altra interna alla Asl di Napoli che ha nominato una commissione di esperti.

«Ho visto mio marito, per l'ultima volta, giovedì scorso in occasione del colloquio. Mi ha baciato e ha giocato con la bambina: stava bene», questa ricostruzione di Valentina. «Il giorno dopo, mio fratello ha avuto il mal di gola, gli hanno dato la tachipirina, sabato è salita la febbre, domenica è stato visitato e riaccompagnato in cella ma è svenuto durante la cena. Altro controllo medico e ritorno a letto. Lì è praticamente morto. E nessuno ci ha mai avvisato ufficialmente», sostiene Santina.

Lorenzo Acampora, direttore del dipartimento di tutela della salute negli istituti penitenziari seguiti dall'Asl di Napoli, conferma: «Il paziente è stato portato per due volte nel punto di primo soccorso, al terzo accesso non c'era più nulla da fare. Aveva la febbre, e la procedura prevista in questi casi è stata eseguita correttamente, ma solo l'autopsia può chiarire eventuali responsabilità».

Ieri mattina, il sit-in. Nella notte precedente, altra tensione. Secondo quanto segnalato dal Sappe e confermato dalla Polizia, i reclusi nei reparti Livorno e Salerno hanno messo in atto l'agitazione battendo oggetti contro le sbarre. All'esterno invece «un gruppo di circa 30 donne, familiari di detenuti - spiega il sindacato degli agenti - hanno lanciato bottiglie e pietre sia contro il cancello e anche all'interno del parcheggio per protesta contro il personale di polizia penitenziaria sequestrando una decina di colleghi all'interno, la macchina di qualche agente è rimasta colpita. Un altro presidio di 8-9 persone erano sedute a terra e 40 in piedi hanno tentato di bloccare la strada», al grido «assassini». Subito dopo, tutte le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria hanno proclamato lo stato di agitazione. «Chiediamo un incontro urgente con il Dap e con il ministro della Giustizia», dice Ciro Auricchio, segretario regionale Uspp. Per Luigi Vargas, segretario Sinappe, «i fatti avvenuti sono stati gravissimi per l'incolumità dei poliziotti e il mantenimento dell'ordine e della sicurezza nel carcere di Poggioreale». Interviene anche la famiglia Volpe che si dissocia dalle accuse rivolte agli agenti di polizia penitenziaria. «Il nostro non è un altro caso Cucchi: non si sono verificati maltrattamenti o abusi da parte degi poliziotti, anzi. Il problema vero è l'assistenza sanitaria», dichiara Santina Volpe che, con altri parenti, incontra anche la direttrice del carcere. E lo stesso Acampora riconosce che, a prescindere da questa vicenda, c'è un problema effettivo nell'assistenza: «Innanzitutto, dovuto al sovraffollamento».
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