Arturo, accoltellato alla gola a Napoli: ​«Ragazzi​ mettete giù le armi, le ferite restano a vita»

Arturo, accoltellato alla gola a Napoli: «Ragazzi mettete giù le armi, le ferite restano a vita»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 22 Aprile 2022, 23:00 - Ultimo agg. 23 Aprile, 12:00
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«Due settimane fa è toccato a Giovanni, sabato scorso a Donato, cinque anni fa è stato il mio turno, prima di me altro dolore, altre ferite, altri lutti. Mi chiedo: quando finirà tutto ciò? Perché non buttano le armi?». Ha seguito con partecipazione emotiva gli ultimi casi di cronaca che hanno riguardato ragazzini armati e violenti. E ha rivissuto sulla propria pelle un calvario tra ospedale e aule di Tribunale, tra rabbia per il dolore sofferto e ricerca di verità e giustizia. Eccolo Arturo Puoti, studente di 23 anni, volontario della croce rossa, appassionato di sport, di cinema e teatro. E profondamente coinvolto per tutto ciò che riguarda la sofferenza gratuita consumata ai danni di una persona indifesa. 

Arturo, ancora coltelli. Prima Giovanni Guarino ucciso da due minori, poi il 15enne Donato, ferito al petto da una banda di 15 ragazzini armati di coltello. Qual è la sua riflessione?
«Ho letto, mi sono documentato. Non è giusto. Un ragazzo ucciso e un altro ferito, ma quando finisce questo calvario? È successo a me nel 2017, ad altri ragazzi prima di me e vedo ancora tanti minori armati aggredire senza un motivo i propri coetanei, causando lutti e dolori indelebili».

Ci sono tanti ragazzini impuniti (solo se rimaniamo agli ultimi due episodi) se la sente di rivolgersi direttamente a loro?
«C’è una sola cosa che si può dire: deponete le armi. Buttate quei maledetti coltelli. Anzi: quando uscite di casa, non indossate il coltello. Non è un accessorio, non è un telefonino, è un’arma e se la portate addosso, prima o poi la userete. E i danni che provocate sono enormi».

In che senso?
«Lutti e ferite sono indelebili. Il dolore per la perdita di un ragazzo non si cicatrizza mai, te lo porti appresso per tutta la vita. E anche quando ti va bene, come è accaduto a me, quelle ferite pulsano sempre, grondano rabbia e senso di frustrazione, a prescindere dai processi, le condanne e il tempo che passa sulla tua pelle».

Qual è la sensazione, dopo aver assistito agli ultimi due episodi di cronaca?
«Credo che una fetta di popolazione giovanile viva completamente scollegata dalla realtà. Non leggono giornali, non guardano notiziari televisivi, vivono in strada o ripiegati su se stessi, sul proprio egoismo, sul proprio senso di sopraffazione. Mi chiedo: domenica ammazzano un 19enne a coltellate, pochi giorni dopo c’è ancora chi esce di casa con il coltello e si accanisce contro un ragazzino di 15 anni. Ma dove vivete? Possibile che non ci sia un barlume di coscienza?».

Se la sente di rivolgersi a Donato, il ragazzino ferito sabato notte in Galleria?
«La sua storia è molto simile alla mia, so che è stato colpito al petto, mentre tornava a casa. Ho letto sul Mattino che sogna di fare lo chef, gli auguro ogni bene: “Donato, guarda avanti, il peggio è passato, i tuoi sogni sono ancora lì che ti aspettano, riuscirai a costruire un mondo migliore, non sei solo”. Mentre a chi lo ha ridotto in un ospedale, vorrei rivolfere un altro genere di considerazione».

Prego.
«Contate fino a cento. Prima di mettere un coltello in tasca, contate fino a cento. Ci vuole buon senso, un pizzico di lucidità, provate a connettervi con il mondo, ad alzare la testa dal marciapiede. Vede, capisco che gli adolescenti vivono di impulso, hanno freni inibitori bassi, ma è anche vero che il coltello sta diventando un abito mentale, un corredo sempre presente, come se fosse una cosa irrununciabile. Non funziona così, non può andare avanti in questo modo».

Torniamo alla sua vicenda personale e giudiziaria. Durante le fasi del processo, ha mai incrociato lo sguardo dei suoi aggressori?
«Mi è capitato, anche se in quelle ore in aula, pensavo soprattutto al processo, ero concentrato e determinato perché venisse fuori la giusta verità giudiziaria». 

Cosa augura ai suoi aggressori?
«Spero che loro conservino il ricordo di quello che ho dovuto soffrire. Lo dico in senso costruttivo. Mi farebbe piacere se riuscissero a trarre beneficio da questa esperienza, a maturare da un punto di vista sentimentale, a crescere come cittadini rispettosi del prossimo. Mi auguro che le loro famiglie sappiano accudire la loro crescita, mostrandosi finalmente interessate alla riabilitazione dei loro figli».

Un consiglio a chi ancora oggi va in giro a scatenare risse?
«Facciano volontariato.

Possono dedicarsi ad aiutare gli altri, un primo passo per comprendere quanto è importante vivere in funzione degli altri».

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