Coronavirus in Campania: contagiato uno su due, l'ospizio della Madonna dell'Arco è un lazzaretto

Coronavirus in Campania: contagiato uno su due, l'ospizio della Madonna dell'Arco è un lazzaretto
di Daniela Spadaro
Venerdì 27 Marzo 2020, 09:04 - Ultimo agg. 10:10
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Centodue tamponi effettuati, cinquanta risultati positivi. La residenza sanitaria per anziani di Madonna dell'Arco è un focolaio. La parola che nessuno avrebbe voluto pronunciare. Degenti, personale ausiliario e parasanitario, anche un medico curante esterno alla struttura, gestita dall'ente religioso convento Madonna dell'Arco, erano già in isolamento fiduciario per disposizione del commissario prefettizio Stefania Rodà da martedì scorso. Sette le morti avvenute in due settimane. Sette decessi di anziani degenti. Un contagio che si è poi diffuso, un nemico letale che prima di quel giorno ha potuto allignare e passare da persona a persona.

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Si poteva evitare? Forse sì. Era martedì 17 marzo quando il medico curante di un paziente fece richiesta all'Asl per un tampone che accertasse o escludesse il contagio da coronavirus. Ora i parenti del degente, che non vogliono però esporsi, giurano che faranno di tutto perché siano accertate le responsabilità, di chiunque siano, sostenendo che, non fosse stato per loro, il tampone non sarebbe mai stato richiesto e che nella struttura, nonostante fosse stato chiesto ai visitatori di indossare mascherine e guanti, il personale non faceva sempre altrettanto. La versione contrasta, a dire il vero, con quella del priore dei Domenicani, padre Alessio Maria Romano, rappresentante legale della Rsa, anch'egli sottopostosi al test per il Covid 19 e risultato negativo. «Abbiamo sollecitato quel test più volte racconta padre Alessio purtroppo è giunto troppo tardi, non solo quando la persona per la quale era stato richiesto era già morta, ma dopo altri tre decessi: per due di essi il tampone era positivo». Da allora, da due settimane, i morti si sono contati su più di una mano. Sette. E rivendica, il priore, di aver adottato misure precauzionali all'interno della struttura ancor prima che fossero emesse ordinanze e decreti. Le visite però sono state vietate troppo tardi. Non si conosce il paziente zero, non si sa da chi abbia avuto inizio il contagio. Una «bomba» che ora va contenuta, disinnescata prima che esploda. Tra i dipendenti contagiati ci sono lavoratori che arrivano da Somma Vesuviana, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Cicciano, Pollena Trocchia, Acerra, Volla. I test eseguiti e giunti nella notte tra mercoledì e ieri hanno portato ad oltre cinquanta contagi il bilancio della città di Sant'Anastasia dove già due persone sono morte per Covid 19. Ieri sera anche il presidente Vincenzo De Luca ha voluto chiamare di persona il priore del Santuario, al momento chiuso, per assicurargli che fareà quanto in suo potere per garantire la sicurezza di tutti. Le prescrizioni sanitarie dell'Asl Na 3 Sud sono arrivate in tarda serata: il personale risultato negativo ai test ha potuto far rientro a casa, mentre il direttore sanitario avrà l'obbligo di far osservare tutte le procedure per i positivi che dovranno rimanere in isolamento fiduciario con sorveglianza attiva per quattordici giorni, fino al 5 aprile, ripetendo il tampone al quindicesimo giorno di isolamento. Così, anche per gli ospiti della vicina casa albergo.

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Sui social si è scatenata la paura e anche la «caccia alle streghe», perché c'è chi sostiene che una responsabilità, almeno una, chi gestisce quella residenza deve pur averla. Non che si voglia far da scaricabarile con l'Asl che non è arrivata tempestiva con i test, non che si voglia ripercorrere la filiera delle colpe dall'ultimo parente che magari è andato a trovare mamme o nonne avendo quello che credeva un raffreddore o da uno o più lavoratori interni, forse asintomatici. Fatto sta che i focolai di contagio nelle residenze sanitarie riguardano tutta Italia. A Forlimpopoli, in Romagna, dove nella casa di riposto Pellegrino Artusi, sono positivi 25 ospiti su 35; a Roma, dove alla «Giovanni XXIII» che ospita 66 anziani due operatori sono risultati positivi, a Cassino, a Prato, a Messina, a Sassari, a Palermo e ovviamente nelle residenze sanitarie lombarde.

Non si può dire, in casi simili, mal comune mezzo gaudio. Nemmeno però dar vita ad una caccia all'untore, come spesso nelle ultime settimane, in caso di contagi, sta avvenendo sui social network. C'è in pratica mezza provincia a rischio. La catena dei contatti è già stata ricostruita e le famiglie dei dipendenti della residenza sanitaria dovranno osservare l'isolamento. «Noi abbiamo fatto quanto in nostro potere per mettere chi di dovere in allerta» dice il priore dopo la lunga giornata di ieri, quando la notizia ha fatto serpeggiare il terrore da contagio. Sant'Anastasia sta piangendo le sue vittime, ma sta anche dando il peggio di sé. Con messaggi inviati a catena su whatsapp, con audio in cui ci si riferisce alla residenza per anziani come «infetta» e a coloro che vi devono stare come «appestati». 

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