Covid a Napoli: «Io, cassiera in prima linea; tanti rischi e zero tutele»

«Io, cassiera; tanti rischi ma zero tutele»

Covid a Napoli: «Io, cassiera in prima linea; tanti rischi e zero tutele»
di Antonio Menna
Venerdì 9 Aprile 2021, 08:29 - Ultimo agg. 10 Aprile, 09:11
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«Prima della vaccinazione, la Regione dovrebbe metterci a disposizione uno psicologo. Viviamo da un anno nel terrore, siamo stremati». Lina Mollo, 58 anni, da 25 cassiera in un supermercato, racconta il dramma della prima linea nel rischio del contagio. Oggi lavora in via Argine. «Chi è più esposto al virus del lavoratore di un supermercato? - dice - Noi siamo invasi da una marea di persone, non credo esista un lavoratore che incontri più gente ogni giorno della cassiera di un supermercato. Centinaia e centinaia di clienti transitano davanti a noi. E in quali condizioni, poi? Tocchiamo i soldi e la merce, che prima hanno toccato altri, siamo separati dai clienti solo da un pannellino di protezione, e ancora facciamo i conti con gente che non indossa la mascherina o la indossa male, e che a volte reagisce anche male se qualcuno glielo fa notare. È un tormento».


Come si lavora con la paura di contagiarsi da un momento all'altro?
«Malissimo.

Siamo spaventati. Il nostro è oggettivamente un mestiere rischioso rispetto al contagio. Sono proprio le nostre condizioni di lavoro a esporci enormemente. Io sono in cassa dentro un ovulo metallico, che divido spalla a spalla con una collega. Non c'è distanziamento sufficiente, e non siamo tutelati. In altri punti vendita non c'è neppure possibilità di distanziamento con i clienti, le cassiere lavorano in piedi. Ci hanno fatto firmare una marea di documenti con cui si dichiara di rispettare tutte le misure di sicurezza. Ma non è così».


Non si rispettano le precauzioni anti-Covid?
«Io lo posso dire. Per fortuna sono una lavoratrice della vecchia guardia, vengo dalla vecchia gestione Auchan, ho un rapporto di lavoro stabile e sono sindacalizzata. Mi sento di parlare anche a nome dei tantissimi ragazzi precari, che da noi lavorano con contratti flessibili e sono letteralmente terrorizzati tanto dal virus quanto dalla paura di perdere il lavoro. Il nostro lavoro ha un rischio altissimo in sé. Tocchiamo il denaro, la merce, abbiamo migliaia di persone intorno. Impossibile fare attenzione a tutto e sempre. E aggiungiamo, poi, che qui non si fa abbastanza neppure in termini di prevenzione. Pensi che non abbiamo mai fatto uno screening di controllo con i tamponi».


Lei non ha mai fatto un tampone con la sua azienda?
«Ne ho fatto uno privatamente, di mia volontà, a mie spese, quando ho saputo di essere entrata in contatto con un positivo. Per fortuna sono risultata negativa. L'ho fatto per senso di responsabilità verso i miei colleghi e i clienti. Nessuno ci ha mai sottoposti a controlli. Quando abbiamo chiesto di fare periodicamente dei tamponi, anche rapidi, ci è stato detto che siamo in troppi e non era possibile. Anche sul tema dei dispositivi ci sono delle carenze: abbiamo dei caschetti ma le mie mascherine le compro io. Gli spogliatoi sono strettissimi e non c'è alcun distanziamento. Sembriamo i lavoratori di Amazon, in alcuni casi».


Ci sono stati suoi colleghi contagiati?
«Certo, ci si contagia continuamente, spesso a interi settori. Non ci sono solo i lavoratori del supermercato, c'è anche l'indotto. Le persone della sicurezza, le pulizie, i fornitori che scaricano le merci, quelli che portano la spesa a casa. È un via vai di gente, nessuno ci controlla la temperatura, e chiaramente si entra costantemente in contatto l'uno con l'altro. Sa come sappiamo che un collega è contagiato? Perché non lo vediamo al lavoro. Quando chiediamo se è tutto ok, ci dicono di sì per non generare allarme. Poi, in realtà, per vie informali, veniamo a sapere la verità. Si ha paura persino di parlare, e soprattutto i ragazzi, quelli più giovani, meno tutelati, hanno paura che con il virus perdono anche il lavoro».


In questo clima vi farebbe stare più tranquilli accedere rapidamente al vaccino?
«Certo, lo faremmo tutti di corsa. Noi non ci siamo mai fermati, abbiamo lavorato tantissimo. Addirittura il triplo rispetto a prima. I supermercati hanno moltiplicato la loro utenza. Da noi si spendono buoni di ogni genere, tessere del reddito di cittadinanza. Mai chiusi, nemmeno nel primo lockdown. Però mentre siamo essenziali come servizi non lo siamo come lavoratori. Quando c'è stata la corsa a vaccinare le categorie professionali, nessuno ci ha mai nominato. E chissà quando toccherà a noi».


Lei si vaccinerebbe anche con Astrazeneca?
«Io sono cardiopatica e ipertesa. Accudisco due genitori ultraottantenni. Vivo da un anno con la paura del virus per me e per le persone che mi sono care. Posso avere, come tutti, paure e perplessità per questo vaccino ma lo farei subito, senza tentennamento. Così non si può vivere. Qualunque cosa per uscire da questo clima di terrore».

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