Martina è nata con il cuore a destra e soffre della tetralogia di Fallot. Ha subito sette interventi in 16 anni. L’ultimo, il trapianto salvavita, a Bergamo, perché al centro pediatrico di Napoli questi interventi sono sospesi.
Trasportata d’urgenza con un volo privato dall’aeroporto di Capodichino, la ragazzina è entrata in sala operatoria sabato all’alba e l’operazione è durata oltre dieci ore. Suo padre, per primo, le ha potuto stringere la mano in terapia intensiva: «Non aveva la forza di parlare, le ho detto che tutto è andato bene e non deve più temere». Si commuove Umberto Vesce, 48 anni e una sola figlia, così fragile e così dolce: nella foto sul profilo Facebook che esibisce con orgoglio, lei ha una margherita tra i capelli. Sussurra il papà di San Giorgio a Cremano nel raccontare questa storia di speranza e rabbia, di gioia e tristezza: «Penso innanzitutto alla famiglia del donatore dell’organo, li ringrazio». Poi Umberto riavvolge il nastro dei ricordi: «Sin dal primo mese Martina era stata curata dai medici del Monaldi di Napoli. Nel 2013, era stata inserita lì in lista di attesa per l’operazione. Ma, con il passare degli anni, lo scenario è cambiato, l’attività di trapianto è stata sospesa e lei faceva fatica persino a muoversi». Di più. «Non riusciva a portare lo zaino e, per raggiungere l’aula delle lezioni, a scuola doveva prendere l’ascensore. Era sempre stanca e cianotica, con le labbra viola. Provata, nel corpo e nell’anima».
Di qui la decisione di chiedere aiuto fuori regione, all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Il ricovero, per accertamenti durati due settimane, tra febbraio e marzo 2016. «A Bergamo le avevano affiancato un sostegno psicologico, nella provincia di Napoli richiesto e mai ottenuto, ma le avevano anche detto chiaramente che senza il trapianto presto avrebbe avuto bisogno del sostegno di una macchina: un vero inferno». In quella circostanza i medici avevano aggiunto altri farmaci alla sua terapia («uno, dal costo di 848 euro, a carico del sistema sanitario») più la cura per l’anemia, «anziché la dieta a base di carne consigliata in origine». Questo, in attesa dell’operazione compiuta quattro giorni fa. «Un’emozione fortissima, per mia figlia, che può tornare a immaginare il futuro, anzi a correre verso il domani come i suoi coetanei». Ma la strada rimane irta di ostacoli, innanzitutto a causa della distanza tra casa e ospedale. «Deve restare a Bergamo, per tre mesi, con la mamma. Ed è già una sofferenza il pensiero di non poterle stare accanto». Umberto è un agente della polizia penitenziaria e non può assentarsi tanto a lungo, la sua compagna Rachele non lavora e vede anche i sacrifici economici che si profilano «per il viaggio e la permanenza». Ma Vesce è preoccupato anche per altre ragioni. «Anche per il ritorno a Napoli».
Risposte? Un incontro tra il direttore generale del Monaldi Giuseppe Longo e il parlamentare Calabrò si è svolto lunedì scorso e nei prossimi giorni, fa sapere la direzione dell’ospedale, i rappresentanti dei genitori dei bambini saranno ricontattati per un’altra riunione.
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