Droga, sequestrato e picchiato a Napoli prima di fare ritorno in cella

L’uomo fu “rapito” per costringere la moglie e il fratello a saldare un debito di 7700 euro

Il carcere di Poggioreale
Il carcere di Poggioreale
di Viviana Lanza
Martedì 13 Febbraio 2024, 23:58 - Ultimo agg. 14 Febbraio, 18:02
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Tre nuove basi di spaccio al Vomero. La scalata di uno dei gruppi fermati ieri da un’inchiesta del Gico della Guardia di Finanza e della Procura di Napoli era iniziata dal quartiere collinare. «Ci siamo presi il Vomero, lo sanno tutti», dicevano al telefono alcuni degli indagati senza sapere di essere intercettati. Sedici gli arresti eseguiti. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di far parte di quattro diversi gruppi e le accuse contestate dagli inquirenti vanno dall’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti alla detenzione a fine di spaccio di droga, sequestro di persona a scopo di estorsione, procurata inosservanza di pena.

Le indagini hanno svelato che uno dei gruppi, guidato da un individuo ancora non identificato, aveva avviato un’attività di spaccio su larga scala, con ramificazioni fino a Crotone. Attraverso una rete di corrieri, questa organizzazione si occupava della distribuzione all’ingrosso di sostanze stupefacenti. Un secondo gruppo, invece, operava principalmente tra Napoli e la provincia, estendendo il proprio mercato fino all’Emilia Romagna. Un terzo gruppo era invece coinvolto nelle importazioni dall’estero, con traffici che interessavano la Spagna e la provincia avellinese. Infine, un quarto gruppo, con base a Giugliano, agiva come intermediario per un altro gruppo criminale nell’area vesuviana. Durante le indagini sono stati sequestrati oltre 300 chili di hashish, 36 di cocaina e più di 400mila euro in contanti. Un business da grandi numeri, svelato grazie al monitoraggio delle utenze telefoniche. I primi messaggi registrati risalgono al 16 gennaio 2019 ed avevano per oggetto una trattativa su un chilo di cocaina. Il prezzo era di 34.500 euro, mentre il pagamento concordato era suddiviso in due tranche: prima un acconto di 10.000 euro alla consegna, il resto dopo sette giorni. Messaggi inequivocabili da cui emerge anche un obiettivo: l’espansione del business. 

«Teniamo il prezzo e teniamo la qualità, fratello» riferisce uno degli indagati, che non si dice contrario anche al sistema dei passaggi di mano. «Tu non conosci nessuno che tiene le piazze? (di spaccio). E vai da questa gente e proponi il lavoro. Vedi a quanto comprano la cocaina!».

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Un metodo semplice che punta sul margine: «Viene qualcuno da te a cui che serve un pacco (un chilo di cocaina), fagli portare 29.000 euro, glielo diamo noi. E così abbiamo guadagnato 2.000 euro, fratello! Li vuoi buttare?». Gli indagati, consapevoli di essere a rischio di intercettazione, utilizzavano uno stratagemma apparentemente innocuo: lo scambio di squilli o tentativi di chiamata. Si trattava di un segnale per richiedere l’accesso a una chat denominata “Surespot”, una piattaforma con sistema di cifratura end-to-end, considerata non permeabile alle intercettazioni. Tuttavia, nonostante i loro sforzi, gli investigatori sono riusciti a penetrare nelle comunicazioni più sensibili, utilizzando metodi tradizionali di indagine. Uno degli aspetti più sconvolgenti della vicenda è stato il coinvolgimento di due degli indagati accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione. La vittima era un componente del gruppo che aveva il ruolo di intermediario. L’uomo fu “rapito” per costringere la moglie e il fratello a saldare un debito di 7700 euro non pagato su una partita non meglio quantificata di marijuana.