Faida di Arzano, il mercato dei narcos: «Costano come calciatori, ​15mila euro per un capopiazza»

Faida di Arzano, il mercato dei narcos: «Costano come calciatori, 15mila euro per un capopiazza»
di Leandro Del Gaudio e Marco Di Caterino
Venerdì 12 Agosto 2022, 23:02 - Ultimo agg. 13 Agosto, 17:48
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Come durante la campagna acquisti del calcio mercato. Nel pieno di una scissione interna al cosiddetto clan della 167, quella tra i Cristiano e i Monfregolo - siamo ad Arzano, alle porte di Napoli - iniziò una sorta di trattativa per portare con il proprio gruppo pusher e capipiazza. Una trattativa a colpi di mazzette di denaro, tanto che ad un capopiazza, il clan Cristiano arrivò a promettere fino 15mila euro, come quando si fanno i contratti preliminari per l’acquisto di un bene di pregio. Lo ha spiegato ai pm della Dda di Napoli, il collaboratore di giustizia Pasquale Cristiano, alias Pickstick, ex boss del rione 167 di Arzano, di recente funestato da stese, agguati e finanche colpi al parroco Patriciello e minacce al capo dei vigili Biagio Chiariello. Parlano due collaboratori di giustizia, si tratta di Pasquale e Pietro Cristiano, rispettivamente padre e figlio, che raccontano cosa accade alle porte di Napoli. 

L’obiettivo dei due clan un tempo alleati (i Cristiano e i Monfregolo) era di portare nelle proprie retrovie D. P., indicato come un soggetto in grado di avere voce in capitolo, a proposito di droga e o di gestione di soggetti messi a delinquere sul territorio. Dice il boss Pasquale Cristiano: «Ho saputo che a Pescatore hanno dato 15mila euro, comprandolo come se fosse un calciatore». Parole ovviamente al vaglio della Dda di Napoli, sotto il diretto coordinamento della procuratrice Rosa Volpe. 

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È uno dei filoni di indagine di questa storia. Riguarda l’uso di smartphone all’interno delle celle. In alcuni casi, boss e detenuti ordinari usano addirittura i canali social, nel tentativo di veicolare messaggi o ricevere informazioni sul territorio. Ed è lo stesso Pasquale Cristiano a confermare tutto: «Vincenzo Marino su tiktok aveva pubblicato, dopo la morte di mio cugino, un video in auto con questo “omissis”. Questi video li ho visti con il telefono dal carcere, dove utilizzavo un profilo falso per acquisire informazioni sull’omicidio». Ma sono mondi sempre strettamente collegati, quelli al di qua e al di là delle celle, come emerge anche dal racconto di Pietro Cristiano, il padre del boss reo confesso. Nell’indicare profili e ruoli dei singoli affiliati, Pietro Cristiano ricorda che Carmine D’Errico gestiva un cantante neomelodico che era di nostra creazione, che fecero cantare all’esterno del carcere nel quale ero ristretto. Non manca un riferimento a Rosaria Pagano, la presunta madrina della zona dell’hinterland, per anni al centro di indagini in materia di narcotraffico.

Sostiene il pentito: «Lei faceva entrare tir pieni di cocaina, nel corso del tempo la gestione di alcune piazze è passata a noi, vale a dire a me e a Giuseppe Monfregolo». Poi è arrivata la stagione dei voti comprati, delle case occupate, delle bombe e degli attentati incrociati. Una gestione su cui ora è logico pensare che la Procura di Napoli sia interessata a fare chiarezza. 

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Il lockdown ha messo in ginocchio non solo le attività produttive ma anche quelle “parassite”. Lo conferma Pasquale Cristiano nelle dichiarazioni del 28 luglio scorso. «Ho avuto i domiciliari il sette aprile 2020. E ho trovato la cassa del clan vuota. Un mio complice, Mariano, spiegò che per risollevare le sorti economiche aveva aperto una piazza di spaccio denominata “‘o tumore” e mi diede una lista di circa 25 nomi da taglieggiare con 100, al massimo 200 euro al mese. Tra questi c’era anche una pizzeria, il cui proprietario venne da me piangendo e dicendo che doveva utilizzare il reddito di cittadinanza della moglie per pagare la quota».

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