Faida di Scampia, il boss confessa e il pm lo attacca: «Risarcite le famiglie colpite dalla droga»

Faida di Scampia, il boss confessa e il pm lo attacca: «Risarcite le famiglie colpite dalla droga»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 5 Febbraio 2019, 12:30
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«Confessano delitti quando sanno di essere spalle al muro, mandano lettere in Procura e al giudice per sostenere di essere uomini diversi, folgorati sulla via di Damasco. Eppure non aggiungono nulla alla storia di un processo a senso unico, in cui tutti i killer sono praticamente pentiti, dunque reo confessi. Perché invece di chiedere scusa e provare a dissociarsi in extremis, non dicono dove sono finiti i soldi della droga? E perché non risarciscono le tante persone colpite dal dramma della droga?».

Aula 215, tocca al pm anticamorra Vincenza Marra rispondere alle richieste di dissociazione di alcuni boss dell'area scissionista (parliamo di quelli che hanno vinto contro i Di Lauro, provocando una guerra con oltre sessanta omicidi), nel corso del processo ai killer di una triplice lupara bianca. Dinanzi al gup Egle Pilla, il pm anticamorra punta l'indice contro Cesare Pagano, ritenuto responsabile della morte di Francesco Russo («doberman»), del figlio Ciro e del loro autista Vincenzo Moscatelli, colpiti a morte perché accusati di aver trattenuto soldi provento del traffico di droga. Anno 2009, da allora tanti soggetti che si pentono, fino ad arrivare alla confessione ultima di Pagano (che ovviamente si guarda bene dall'accusare altri soggetti) su cui entra a gamba tesa lo stesso pm anticamorra.
 
Lettere dal carcere da parte del boss Pagano, che spiega di «essere uno degli iniziatori della faida, ma dichiara anche di essere cambiato, di essere un uomo per molti versi nuovo, grazie agli anni di detenzione trascorsi in cella». Qual è la risposta della Procura? In aula il pm Marra ripercorre le indagini, scandite anche dalle collaborazioni con la giustizia di soggetti del calibro di Antonio Lo Russo, di Carmine Cerrato (classe 1976) di Biagio Esposito, tutti passati dalla parte dello Stato come principali accusatori di amici e nemici. Poi ragiona sullo scenario attuale: «Sono anni che sentiamo parlare di Gomorra, dell'immagine dei killer che si muovono tra periferia e centro storico, è giusto in questo momento dare una risposta processuale a chi questa Gomorra l'ha provocata». E non è tutto. Proprio mentre in Tribunale a Napoli si sta celebrando il processo a carico degli Amato-Pagano, dinanzi al Tribunale dei minori si è concluso il primo grado di giudizio a carico di Mariano Riccio, oggi maggiorenne che risponde del suo ruolo nella triplice lupara bianca. Aveva solo 17 anni quando venne impegnato per la ripulitura della casa usata dai killer, in una sorta di mattatoio rosso sangue, con i corpi delle tre vittime fatti sparire in un cimitero rimasto ancora sconosciuto. Per questo delitto, Mariano Riccio è stato condannato ieri mattina a sedici anni in primo grado, in una carriera criminale nella quale ha svolto il ruolo di boss emergente sia a ridosso di Secondigliano e Scampia sia a Marano.
 
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