Il papà di Paolo, vittima innocente: «I camorristi di oggi? Piccoli imbecilli»

Il papà di Paolo, vittima innocente: «I camorristi di oggi? Piccoli imbecilli»
di Giuliana Covella
Sabato 10 Agosto 2019, 10:06 - Ultimo agg. 10:07
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«I camorristi di oggi? Sono piccoli imbecilli. I baby boss tentano di emulare i vecchi padrini, ma sono solo ragazzini che vogliono mettersi in mostra. Perciò ai giovani dico: guardate a modelli positivi, come il mio Paolo e il suo amico Gigi che, a quasi 20 anni di distanza, oggi ricordiamo per il loro sacrificio di vittime innocenti». Vincenzo Castaldi è il papà di Paolo che, il 10 agosto 2000 fu ucciso a sangue freddo insieme all'amico Gigi Sequino a Pianura.
 
Quella sera i due ragazzi si erano fermati a parlare sotto casa di Gigi, dove abitava anche Rosario Marra, genero del capoclan Pietro Lago. I killer arrivarono in quattro in sella a due ciclomotori per vendicare la morte di un loro affiliato, Vincenzo Giovenco. Gigi e Paolo, 20 e 21 anni, inconsapevoli del pericolo, si erano attardati a parlare in auto, a bordo di una Lancia Y. Vennero così scambiati per due guardaspalle di Marra e crivellati di colpi. Nel diciannovesimo anniversario della morte il padre di Castaldi, che ha fondato l'associazione Le voci di Gigi e Paolo, ricorda quei tragici momenti, parla del cambiamento «in parte avvenuto nel quartiere dove per i giovani abbiamo ottenuto un bene confiscato» e della camorra che «continua a sparare ferendo bambine innocenti come Noemi».

Cosa ricorda della tragedia?

«Quel giorno io e mio figlio eravamo stati a pranzo assieme nella concessionaria Fiat dove lavoravo in viale Kennedy, che oggi non esiste più. Tutti i miei colleghi alla mensa lo amavano. Era sempre sorridente, amava molto la musica e gli animali, specie i cani, di cui si prendeva cura. In quell'occasione Paolo era venuto per farsi controllare l'auto, perché il giorno dopo saremmo dovuti partire. Ho ancora impresso nella mente il suo sorriso».

Dove doveva andare Paolo l'indomani?

«Doveva venire con noi dalla sorella a Piacenza. Mia figlia gli aveva trovato un lavoro come addetto alla manutenzione delle piscine comunali, mentre l'amico Gigi sarebbe dovuto partire per la Grecia. Perciò quella sera si erano fermati in auto a parlare per salutarsi. Si conoscevano dai tempi dell'asilo. Poi Paolo aveva scelto di andare a lavorare dopo la licenza media ed era impiegato come responsabile acquisti in un supermercato. Mentre Gigi aveva voluto proseguire gli studi, diplomandosi al Giordani. Ma tutti i loro sogni svanirono la sera».

Che accadde quella sera?

«Ricevemmo una telefonata da uno dei soccorritori. Mia moglie cominciò a piangere. Intorno a noi c'era il caos. Quando uscimmo di casa ci rendemmo conto che tutto il quartiere già sapeva. Quando arrivammo sul posto non riuscimmo a raggiungere con la nostra auto la Lancia dove c'erano i corpi dei ragazzi, perché quella che all'epoca era una delle traverse di via San Donato (oggi via Castaldi-Sequino) era stretta ed era piena di poliziotti e vigili. Davanti al veicolo la scena fu agghiacciante».

Cosa vedeste?

«Paolo era abbracciato a Gigi. Solo dopo le dichiarazioni di un testimone che aveva assistito dal suo balcone all'esecuzione, abbiamo saputo il perché di quella posizione. Gigi fu colpito prima, poi uno dei killer disse all'altro: Spara, spara anche a questo! Ci ha visti in faccia!. Per me quel dolore è ancora vivo».

I responsabili hanno pagato?

«Due hanno avuto l'ergastolo, un altro fu ammazzato e il quarto del commando è diventato collaboratore di giustizia. Fu quest'ultimo che, quando eravamo in aula durante il processo, parlando in video conferenza si scusò dicendo semplicemente quella sera eravamo strafatti e dopo andammo a fare una rapina perché i soldi li prendeva tutti zio Luigi (Marfella, ndr) e noi per quel duplice omicidio guadagnammo appena 250mila lire a testa. Parole che fanno ancora più male a un genitore che ha perso un figlio in quel modo».

Oggi la camorra, a distanza di vent'anni, continua a sparare e a mietere vittime innocenti. Cosa è cambiato da allora?

«La camorra di una volta non esiste più. Oggi si serve di piccoli imbecilli, che non sono boss ma vogliono solo mettersi in mostra e fare gli spavaldi. La vera camorra mira agli appalti, non è certo quella che spara o fa le stese per punire uno del clan avversario. A Pianura poi le cosche emergenti vengono subito decimate dagli arresti, specie delle donne, che sono subentrate agli uomini nei ruoli di comando. Inoltre, grazie al sostegno di Luigi Cuomo, nel quartiere abbiamo fondato la prima associazione antiracket e oggi i commercianti di Pianura non pagano più il pizzo».

Lei ha accennato al fenomeno delle stese e ai morti innocenti che ancora continuano. Ma c'è anche chi si è salvato come la piccola Noemi. L'ha conosciuta?

«Quando ho saputo che era rimasta ferita ho pregato tanto perché si salvasse. Poi io e mia moglie Rosaria siamo entrati in contatto con i genitori e lei è stata spesso a farle visita in ospedale. Ma anche in questo caso i nuovi camorristi sono esseri senza pietà, che non si fanno scrupolo di sparare a una bambina di quattro anni».

Oggi ricorre il diciannovesimo anniversario della morte di Gigi e Paolo e già ieri li avete ricordati con una commemorazione.
«Abbiamo deposto dei fiori sulla lapide con l'assessore ai giovani del Comune Alessandra Clemente, a cui però ho mostrato anche il degrado del cimitero di Pianura, un luogo simbolo del sacrificio dei nostri ragazzi. Ecco perché vorremmo maggiore attenzione. Anche questo è fare memoria».

 
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