Armi da Napoli all'Isis, imprenditore
su una montagna di kalashnikov

Armi da Napoli all'Isis, imprenditore su una montagna di kalashnikov
di ​Leandro Del Gaudio
Giovedì 2 Febbraio 2017, 08:32 - Ultimo agg. 3 Febbraio, 00:09
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Sta seduto su una montagna di kalashnikov, quindi su una montagna di soldi. Sta seduto su migliaia di fucili e di mitragliatori, lì in un punto imprecisato del mondo, contento dei suoi trofei. Al centro della scena, Carmelo Famà, imprenditore salernitano legato al commercio (legale, fino a prova contraria) di armi, secondo quanto emerge da una foto acquisita agli atti dell'inchiesta culminata due giorni fa in quattro fermi a carico di presunti trafficanti di armi. Il nome di Famà compare anche in un decreto di perquisizione, messo a segno dalla Guardia di Finanza per ordine della Procura di Napoli, che punta a verificare eventuali circuiti clandestini di munizioni, armi e oggetti di dual use (che possono essere convertiti anche per fini bellici).

Un'inchiesta che si estende, che punta a verificare la posizione di altri imprenditori e uomini di affari, che svela in questo modo l'estensione di un commercio che non conosce crisi: quello dei fucili e dei mitra, materiale da esporre in bella mostra o da riprodurre in una foto autocelebrativa. Doverosa una premessa: Carmelo Famà non va ritenuto responsabile di traffici clandestini di armi e avrà modo di offrire una versione convincente nel seguito del procedimento. Stesso ragionamento per i presunti protagonisti di questa sorta di spy story vesuviana, riferimento diretto alla posizione dei coniugi di San Giorgio a Cremano Mario Di Leva e Anna Maria Fontana e del manager abruzzese Andrea Pardi. Ieri, prima svolta dinanzi al gip Luisa Toscano, che ha emesso misura cautelare a carico dei coniugi. Entrambi si sono avvalsi dinanzi al gip della facoltà di non rispondere, anche e soprattutto di fronte all'esigenza di prendere visione integrale degli atti. C'è stato comunque spazio per le prime dichiarazioni agli atti. Difesa dai penalisti Lucio Caccavale, Massimo Romano e Nico Scarpone, Anna Maria Fontana ha risposto alle domande dei pm, in un interrogatorio al momento secretato. Inchiesta coordinata dai pm Catello Maresca, Maurizio Giordano e Cesare Sirignano (oggi alla Dna), sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, si punta ad acquisire informazioni sulla rete di contatti dei coniugi napoletani. Pedinamenti e intercettazioni, chiaro il ragionamento della Procura di Giovanni Colangelo: ci sarebbe stato un accordo per vendere armi - in particolare elicotteri - in Libia e in Iran, vale a dire in due paesi sotto embargo, violando le leggi imposte dalla comunità europea. Ma restiamo alla rete di conoscenze dei coniugi, alla luce di quanto emerge dagli accertamenti del Gico della Guardia di Finanza di Venezia: «Desta particolare preoccupazione il contatto dei prevenuti con Mohsen Rezian nato a Teheran, e residente a Napoli in via Domenico Fontana, noto per essere stato un esponente di Hizballah».

Anche in questo caso nulla di penalmente rilevante, in uno scenario in cui la Procura punta ad approfondire i contatti tra i due mediatori internazionali di San Giorgio a Cremano e un esponente del «partito di Dio» di matrice fondamentalista che viveva - anzi, vive - nel cuore dell'Arenella. Ma torniamo a quella foto dell'imprenditore seduto su una montagna di armi. A leggere il decreto di fermo, il nome dell'uomo d'affari salernitano Carmelo Famà spunta da una cartella conservata nell'archivio di Di Leva: «Piombo Iran» è l'intestazione del documento, quanto basta a spingere gli inquirenti ad accendere i riflettori su tutti i protagonisti di questa vicenda. Che tipo di rapporti esistono tra questi personaggi? Proviamo a seguire il ragionamento degli inquirenti: nella cartella «piombo» era presente un accordo relativo alla «costruzione di una società di fatto tra Di Leva, Carmelo Famà e Pietro Esposito, per la vendita di piombo in Iran». E, sempre a leggere gli atti: «Relativamente alla figura di Famà appare opportuno evidenziare che si tratta del titolare della società Igf Munizioni srl, e il Di Leva si rivolge a lui per la facilità che lo stesso ha nel reperire il materiale necessario in quanto attinente alla professione che svolge». Anche in questo caso, saranno interrogatori e indagini a stabilire il ruolo dell'imprenditore salernitano nella presunta trama internazionale ordita da Di Leva, su cui la Procura prova a fare chiarezza. Manca invece all'appello un altro personaggio citato nelle carte della Dda di Napoli, vale a dire Mohamud Ali Shaswish, che è stato ucciso in un conflitto a fuoco un anno fa in Libia. Un motivo in più per chiarire i retroscena della spy story made in San Giorgio a Cremano.
 

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