Federica, napoletana, 50 anni, nei mesi scorsi ha avuto il Covid. Si è ammalata con una forma sintomatica dell'infezione ma non grave. La malattia è arrivata con sintomi gastrointestinali. Poi al perdurare della febbre il tampone e la diagnosi. Non ha avuto la polmonite e dopo 21 giorni la malattia è sparita, sia i sintomi, sia il virus (negativizzata). È tornata al lavoro, alla vita di sempre ma a volte sembra spaesata: domenica ha comprato dei dolci ma non è riuscita a dire al marito in quale pasticceria e un paio di volte le è successo di non ricordare dove avesse parcheggiato la macchina e la seconda volta è arrivata a sporgere denuncia salvo poi ritrovare l'auto (il marito) a un isolato di distanza. Li definiscono disturbi cognitivi successivi all'infezione da Sars-Cov-2.
Mario Maj, ordinario di Psichiatria dell'Università Vanvitelli, studioso inserito nella graduatoria di PLoS Biology, si sta occupando delle conseguenze psichiatriche della pandemia, evidenziando i disturbi cognitivi residui in diverse persone che hanno avuto un'infezione sintomatica da Sars-Cov-2.
E poi aggiunge: «In questi soggetti è più elevato il rischio di attacchi di panico, depressione, ansia, insonnia, nonché di spunti deliranti di tipo persecutorio. Tutti questi quadri possono essere affrontati con interventi psicoterapeutici specifici ed eventualmente terapie farmacologiche». Ma l'aspetto più preoccupante che sta emergendo è il riscontro, in alcuni soggetti, di disturbi del funzionamento cognitivo: «Problemi riguardanti la memoria, l'attenzione, la concentrazione, la programmazione delle proprie attività quotidiane; a volte anche uno sfumato disorientamento nel tempo e nello spazio. Sintomatologia in qualche misura legata al trauma psicologico subito o ad uno dei quadri psicopatologici in particolare, alla depressione. «Sembra sempre più probabile, però, che in alcune persone - chiarisce Maj - sia implicata una componente organica legata all'azione diretta del virus su alcune strutture cerebrali, come l'ippocampo, al ridotto afflusso di ossigeno al cervello, alle complicanze vascolari, ai processi infiammatori innescati dall'infezione». Maj sta conducendo uno studio su oltre 1.500 pazienti in collaborazione con le Università di Roma Tor Vergata, Genova, Brescia e Salerno per chiarire i molteplici fattori implicati e le probabili diverse traiettorie di evoluzione nel tempo di questo deficit. «Nel frattempo - conclude il cattedratico - stiamo utilizzando in questi casi due programmi computerizzati di riabilitazione cognitiva, flessibili e personalizzabili, che consentono di esercitare diverse funzioni cognitive con la guida di un terapeuta».