Paciolla, il cooperante morto in Colombia: «Onu chiarisca, mio figlio morto sul lavoro»

Paciolla, il cooperante morto in Colombia: «Onu chiarisca, mio figlio morto sul lavoro»
di Antonio Menna
Domenica 12 Dicembre 2021, 00:06 - Ultimo agg. 13 Dicembre, 07:43
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C’è un filo che collega le vicende di Patrick Zaki e Giulio Regeni con quella del nostro Mario: ed è il cuore solidale di questi giovani animati da grandi ideali, che girano il mondo portando pace e diritti. È la nostra migliore gioventù, un capitale umano che dovremmo imparare a valorizzare prima che avvengano le tragedie». Ha la voce ferma di chi deve ogni giorno trovare tutta la forza del mondo, Anna Motta Paciolla, la mamma di Mario Paciolla, il giovane cooperante napoletano dell’Onu trovato morto ormai un anno e mezzo fa, in circostanze ancora avvolte nel mistero, nel suo alloggio e San Vicente del Caguàn, in Colombia. Questa mattina, alle 11, il Sindacato unitario giornalisti della Campania, alla presenza del presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, esporrà uno striscione per il giovane. È l’occasione per rilanciare la battaglia, con i genitori di Mario e tanti suoi amici, per fare luce sul caso. «Ci sono tre indagini in corso – dice la signora Motta Paciolla -, una in Italia, una in Colombia e una interna all’Onu. Ma noi ne sappiamo poco. Qualcosa lo conosciamo attraverso la stampa». 

 

È ormai esclusa l’ipotesi del suicidio, dopo l’autopsia fatta in Italia? 
«Dal punto di vista giudiziario, non lo sappiamo ancora.

Sono in corso accertamenti. Sappiamo che il magistrato italiano è andato in Colombia, come ci sono andati i Ros. Confidiamo di avere presto notizie in merito. Ma per noi l’ipotesi del suicidio non c’è mai stata». 

Non avete mai creduto a questa pista? 
«Mai. Non solo perché mio figlio non aveva alcun motivo per un gesto simile, visto che era un ragazzo pieno di vita, circondato di amici, totalmente lontano da qualunque idea di questo tipo. Ma soprattutto per quelle che sono state le nostre ultime conversazioni. Mario aveva organizzato il suo ritorno. Era ormai imminente. Eravamo in pieno periodo Covid e tornare dalla Colombia non era facile. Ma lui aveva già spedito le sue valigie, che io ho aperto e trovato nell’ordine che lui seguiva in questi casi. Aveva organizzato il suo arrivo a Florencia e da lì sarebbe dovuto volare a Bogotà, per poi raggiungere Parigi, dove peraltro aveva fatto l’Erasmus e sentiva come casa sua. Da Parigi poi sarebbe venuto a Napoli con maggiore facilità. Era già pronto per fare anche una quarantena qui, a Napoli, dove aveva un suo piccolo appartamento. Si sarebbe isolato per qualche giorno per non mettere noi a rischio Covid. Era tutto pronto. Non c’era alcun elemento che facesse presagire un gesto estremo». 

Lei e suo marito più volte avete detto che la verità sulla morte di Mario è nei suoi ultimi cinque giorni. 
«Sì, ne siamo convintissimi. Ha avuto giorni di grande preoccupazione per il suo lavoro. Era in apprensione per alcuni report e in quei giorni sicuramente è accaduto qualcosa che poi ha determinato la tragedia. Lì bisogna fare chiarezza e cercare la verità». 

Quanto è importante per voi la verità? 
«Fondamentale. Non è solo per la necessità di avere giustizia. Ma anche per la dignità di Mario stesso, che è stato infangato. Questo non lo possiamo consentire. Lui aveva una eccezionale rettitudine morale, e non era uno sprovveduto. Era un operatore esperto, che peraltro lavorava per una grande organizzazione come l’Onu. Dobbiamo restituire dignità e onore a nostro figlio e lo possiamo fare solo con la “verità vera”».

Cosa chiedete al governo italiano? 
«Al governo e alla politica chiediamo attenzione e tutela per i giovani che sono ancora impegnati nel mondo. Questa gioventù così limpida, così volenterosa, deve essere protetta, tutelata. Non parlo solo del governo italiano. Mi riferisco anche all’Onu. Mio figlio è un morto sul lavoro. Se un muratore muore su un cantiere si deve chiedere contro all’impresa dove lavorava. Che cosa ha fatto l’Onu per tutelare mio figlio? Come lo ha protetto? Queste sono le domande a cui cerchiamo risposta». 

Ci avviciniamo al secondo Natale senza Mario, il 2021 è stato tutto un anno senza vostro figlio. Come si affronta un dolore così grande? 
«È una sofferenza lacerante. La perdita di un figlio non dà più diritto alla felicità. Il tempo non sana nulla. Mario era una presenza. Sembra strano dirlo perché era lontano. Ma lui era presente in ogni dinamica familiare. Con noi genitori, con le sue sorelle. C’era sempre. Quando tornava chiedeva che gli facessimo trovare il frigo pieno di cose che a lui piacevano. E il primo gesto per lui, che amava visceralmente Napoli, era scendere dal rione alto e correre verso il mare. Il dolore per la sua mancanza non si può spiegare». 

La mobilitazione per Mario, in una giornata come questa, vi consola o riapre ogni volta la ferita?
«La ferita non si chiude mai. Ma ci consola il grande amore che circonda la sua memoria. Lui è stimatissimo. Ci sono amici suoi, in tutto il mondo, che scrivono di lui. Ha lasciato in noi genitori un orgoglio enorme, che avevamo già prima. Ma che oggi sentiamo ancora più forte. L’orgoglio anche di incontrare tanti giovani. C’è una moltitudine di ragazzi così attiva sui territori, così animata da ideali e sentimenti positivi, che ci chiede di accorgerci di loro. Sono una linfa vitale per noi e per il Paese». 

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