Napoli, la piccola Elisa ha una rara malattia genetica: «Salva grazie a Telethon, adesso danza»

Napoli, la piccola Elisa ha una rara malattia genetica: «Salva grazie a Telethon, adesso danza»
di Gigi Di Fiore
Lunedì 6 Dicembre 2021, 23:59 - Ultimo agg. 7 Dicembre, 18:31
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La tenacia cocciuta della mamma Maria Carmela e un farmaco sviluppato attraverso una ricerca finanziata con fondi Telethon consentono oggi a Elisa, sette anni compiuti a maggio, di avere una vita quasi normale nonostante sia affetta dalla malattia genetica di Pompe. È proprio la mamma Maria Carmela Damaro, infermiera 31enne di Pompei, a raccontare la storia di Elisa. 

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Signora Damaro, cominciamo dall’inizio: come ha scoperto la malattia di sua figlia, così poco diffusa?
«Dall’osservazione attenta, che forse solo una madre può avere.

Ho notato i suoi sonni prolungati, la mancanza di appetito, lo sguardo perso, accompagnato da colorito cianotico e occhi spalancati nella culletta senza alcuna reazione. Sintomi che mi hanno insospettita, accompagnati dalla sua mancata crescita di peso. Ho fatto visitare Elisa da più pediatri, che però non diagnosticavano alcuna anomalia».

L’ha aiutata, nell’osservazione, il suo lavoro di infermiera?
«Non nego che possa avermi aiutata nell’osservazione la mia attività. Di fatto questi sintomi mi hanno insospettita e, nonostante il responso dei pediatri, ho portato mia figlia a fare delle analisi del sangue approfondite in un laboratorio di Angri, quando aveva soltanto un mese. Sono emersi valori tutti sballati e la dottoressa del laboratorio mi ha subito chiamata con preoccupazione, invitandomi a portare mia figlia al più vicino pronto soccorso».

Lo ha fatto?
«Sì, ho portato Elisa in ospedale. È stata ricoverata al San Leonardo di Salerno. All’inizio nessuno notava reazioni insolite, i sintomi non erano visibili se non attraverso un’osservazione costante. Mi misi a urlare da una finestra mostrando mia figlia, le altre mamme con i figli ricoverati chiamarono i medici. Fu allertata l’emergenza per farmi somministrare un calmante».

Cosa successe, invece?
«Un medico si accorse degli occhi spalancati all’insù di mia figlia, accompagnati dal colore cianotico. La trasferirono alla Torre cardiologica, dove le trovarono una ipertrofia cardiaca. Il cuore era più grande. Da qui il trasferimento al Monaldi, dove la prese in cura il dottore Giuseppe Limongelli che, dopo una ventina di giorni, fece ripetere delle analisi mirate, compresi una serie di test genetici. Finalmente venne accertata la malattia di Pompe».

Fu l’inizio delle cure specifiche?
«Sì. Venne scoperto che sia io sia il padre di Elisa eravamo portatori della malattia. C’era il rischio che mia figlia non arrivasse al primo anno di vita. La diagnosi arrivò il 12 luglio, Elisa aveva due mesi e quattro giorni. Il 16 luglio, al Policlinico di Napoli iniziavano ad attuare una cura sperimentale con un nuovo farmaco di cui si occupava il dottore Giancarlo Parenti. Fu il dottore Limongelli a contattarlo, per farci trasferire al Policlinico».

Elisa iniziò a prendere il nuovo farmaco?
«Sì, il bambino cui doveva essere somministrato il farmaco aveva avuto una reazione allergica e la dose preparata doveva essere distrutta. Mi assunsi ogni responsabilità e firmai l’autorizzazione a somministrare il farmaco a mia figlia. Iniziò la cura. Mia figlia, che a 37 settimane pesava tre chili e 150 grammi, a quattro mesi arrivò a quattro chili e 150 grammi».

I miglioramenti arrivarono?
«Sì, mia figlia oggi fa danza, va a scuola, cammina. Certo, ha bisogno di prendere il farmaco con continuità, ha necessità di controlli costanti sulla sua capacità di movimento. Ma le avevano diagnosticato neanche un anno di vita. Invece, dobbiamo ringraziare la ricerca, che ha portato alla scoperta di questo farmaco».

Quanti sono i bambini con la stessa malattia di Elisa?
«So che in Campania vengono seguiti sette bambini con la malattia di Pompe. La ricerca sul farmaco è stata finanziata da Telethon e ora sono cosciente di quanto sia importante sostenere con fondi i ricercatori che danno speranza su tante malattie. La ricerca è fondamentale. La ricercatrice che ha contribuito alla scoperta del farmaco, rimasta incinta, ha voluto chiamare la figlia come la mia: Elisa. Un bel gesto, che riconosce come dalla ricerca noi abbiamo visto il futuro».

È importante anche una diagnosi precoce?
«Sicuramente, ma anche partire subito con la cura legata al farmaco ottenuto con la ricerca. Elisa oggi è una bambina di sette anni vivace e noi siamo grati ai ricercatori».

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