Napoli, condannati i ras del racket del parcheggio di via Sedile di Porto

Napoli, condannati i ras del racket del parcheggio di via Sedile di Porto
di Leandro Del Gaudio
Martedì 8 Ottobre 2019, 07:00
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Condannati i parcheggiatori di via Sedile di porto. È stato il Tribunale di Napoli ad accogliere - almeno in modo parziale - la richiesta di condanna della Procura di Napoli, nei confronti dei parcheggiatori abusivi che avrebbero realizzato una sorta di impresa economica in una delle zone strategiche per la viabilità napoletana. Associazione per delinquere finalizzata alla estorsione tentata e consumata, secondo uno schema investigativo che è stato interamente accolto dal gip che emise la misura cautelare e dal giudice che ieri ha pronunciato la sentenza.
 
In sintesi, secondo il verdetto del giudice per le udienze preliminari Caputo, viene condannato a due anni e sei mesi Luciano Liguori, che incassa anche ottocento euro di multa; condannati a un anno e quattro mesi di reclusione Mario Liguori e Giovanni Cascella, invece, Mario Liguori e Giovanni Cascella; due anni e quattro mesi per Vincenzo Solimene (difeso dal penalista Francesco Armentano); due anni e sei mesi e ottocento euro di multa per Vincenzo Porcino (difeso dal penalista napoletano Gaetano Inserra); due anni e quattro mesi per Raffaele Veniero; due anni e quattro mesi per Rosario Sorianiello. Viene disposta la pena sospesa per il solo Cascella. Una vicenda che un anno fa sollevò un certo scalpore, alla luce delle contestazioni vibrate dalla Procura. Agli atti dell'inchiesta, alcuni filmati che hanno di volta in volta ricostruito il modus operandi della presunta organizzazione. Gestivano i contenitori della spazzatura come se fossero stati dei dissuasori del traffico, creavano spazi in cui inserire le auto dei clienti, avevano un controllo assoluto della doppia fila. Un intero mondo di impiegati e professionisti si rivolgeva al gruppetto di professionisti della sosta alle spalle di corso Umberto e di piazza della Borsa, come emerse anche dal sequestro di decine di chiavi che erano lasciate dai proprietari delle auto.

Metodi violenti, aggressivi, solito atteggiamento da parte di chi crede di avere il controllo della zona. Le immagini hanno chiuso il cerchio attorno agli imputati, che spesso appartenevano a nuclei familiari conosciuti dalle forze dell'ordine proprio per l'attitudine a controllare la sosta. Ma in che modo si è arrivati agli arresti e a una condanna per fatti di natura estorsiva? Decisivo il racconto di alcuni testimoni, che hanno confermato di aver subito richieste di natura economiche, difficili da spedire al mittente. Chiara la strategia investigativa? Sono state raccolte le targhe delle auto, grazie alle quali si è risaliti agli automobilisti, che sono stati di volta in volta invitati dinanzi alle forze dell'ordine. Una volta a tu per tu con gli inquirenti, c'è chi ha confermato la pressione di natura estorsiva: «Mi hanno chiesto soldi, non potevo evitare di darglieli, avevo paura di trovare l'auto danneggiata o di subire un furto». Parole che hanno reso a senso unico il processo, con una condanna firmata ieri mattina dal giudice per le udienze preliminari. Una condanna livellata verso il basso, almeno rispetto alle richieste della Procura, che ora attende il deposito delle motivazioni. Probabile infatti che le difese proporranno appello, nel tentativo di ribaltare il dispositivo, almeno per quanto riguarda il capitolo associazione per delinquere.

Una inchiesta che ha ripercorso un filone che ha già ottenuto riscontri positivi, dinanzi ai giudici, in merito ad un altro spaccato territoriale: quello di Posillipo, dove - appena tre anni fa - scattarono misure cautelari nei confronti dei signori della sosta. Fu da Posillipo che partirono le indagini per estorsione, grazie a telecamere poste all'esterno di una discoteca: auto civetta usate per marcare la sosta, tariffe fino a 5 euro e guai a rispondere picche. Una vergogna che - sentenza a parte - si protrae quotidianamente nei punti chiave del traffico cittadino, nell'indifferenza generale.
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