Napoli, i detenuti e la rieducazione:
«Così impariamo a cambiare vita»

Napoli, i detenuti e la rieducazione: «Così impariamo a cambiare vita»
di Alessandra Martino
Martedì 7 Dicembre 2021, 20:08
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Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, recita l’articolo 27 della Costituzione

Questa mattina il convegno, “Carcere, misure alternative e magistratura di sorveglianza”, promosso dal Garante dei detenuti della Regione Campania, Samuele Ciambriello ci ha condotto all’interno degli istituti di pena campani e non solo, alla scoperta dei progetti di lavoro e delle iniziative culturali per i detenuti: ancora poche, ma in crescita.

In carcere la libertà può assumere forme inaspettate. Può raccontare e riflettere attraverso la filosofia. Le attività che i detenuti portano avanti all’interno degli istituti di pena, non sono soltanto occupazioni e lavori fini a sé stessi, ma hanno l’obiettivo di essere un vero e proprio progetto sociale, e di influire sulla vita dei detenuti. 

Non solo, l’esperienza lavorativa in carcere produce un aumento dell’autostima e della fiducia in se stessi, e promuove l’interazione con gli altri, la puntualità, l’affidabilità nella relazione.

Il lavoro in carcere è contro la recidiva. Il lavoro in carcere è un ponte con la società, tra chi sta dentro e chi vive fuori.

A raccontare questa realtà due detenuti, Gino e Zito a testimoniare quanto siano importanti progetti di rieducazione all’interno delle case circondariali.

«Sono qui per testimoniare quella che è stata la mia vita carceraria, sono state dette tante cose ma oggi parlo della mia riflessione: Ho trascorso 5 anni in carcere e quella misura restrittiva ti porta in ogni modo a cambiare, però è chiaro che deve essere un atto di volontà del detenuto a voler cambiare la sua vita. Ho cercato attraverso lo studio di capire che tipo di persona sono stato per un quarto di secolo, ho studiato in modo approfondito gli eventi che si sono succeduti - ha raccontato Zito -. E di conseguenza che adulto sono stato, che marito sono stato, che padre sono stato. Questo scalo dentro me stesso è avvenuto soprattutto quando sono stato in cella isolato, è stata un’auto scrittura della mia vita che mi ha aiutato ad avere una visione diversa della mia vita».

«L’iscrizione volontaria all’università nel Polo Universitario Penitenziario di Secondigliano,  è stata per me la rinascita. Mi ha dato la cassetta degli attrezzi per poter vedere la realtà che mi circonda e capire finalmente che quello che io ritenevo un abuso era tutt’altro che abuso. L’università mi ha dato le qualità e la visione giusta per conoscere territori nuovi. Non smetterò mai di ringraziare il mio magistrato di sicurezza, che nonostante io sia stato un ergastolano mi ha dato fiducia e ha investito su di me. Io sono responsabile del mio cambiamento e non perché devo essere accettato dalla società ma per accettare me stesso».

«Per poter raggiungere questo tipo di consapevolezza e uscire da questo labirinto, - ha sottolineato Zito -, deve avere anche gli strumenti per poter cambiare. Nel mio caso, ho avuto tutti gli strumenti per poterlo fare, inoltre durante il mio percorso di studi universitari ho avuto la possibilità di conoscere un professore che da un anno che mi ospita a casa sua. Ma parliamoci chiaro, chi ospita a casa sua un ergastolano. Io devo la vita a lui».

Zito oggi è un detenuto in semilibertà, ovvero, trascorre parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale ma da un anno non torna più nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere ma torna ogni giorno a casa del professor B, professore che ha conosciuto durante i suoi studi universitari, che ha messo a disposizione la sua casa per far sì, che lui possa avere un tetto sulle spalle.

Dunque, misure alternative alle sbarre di una cella, per risolvere la questione carceraria. Le chiedono a gran voce i garanti dei detenuti attivi sul territorio che hanno risposto questa mattina all’invito del Garante della Regione Campania, Tra i presenti gli attori del sistema carcerario regionale, magistrati di sorveglianza, provveditori, avvocati e anche figure più vicine alla popolazione penitenziaria, tra questi cappellani ed esponenti del terzo settore.

«Questo convegno organizzato dal mio ufficio d’intesa con conferenza nazionale dei garanti territoriali ha una valenza importante, ha messo intorno allo stesso tavolo attori importanti per l’inclusione sociale dei detenuti. Questo è un modo concreto di vivere il dettato costituzionale, le pene e il carcere servono per rieducare. Le testimonianze che ci sono state, anche di detenuti ci hanno portato a vivere questa cosa: occorre meno carcere e più misure alternative al carcere e soprattutto occorre decarcerizzare e depenalizzare il nostro sistema. -ha spiegato il Garante-. Il nostro sistema è un sistema troppo carcero centrico».

Oggi in Campania, ha denunciato il Garante delle persone private della libertà personale, 31% dei detenuti è in attesa di giudizio, 963 sono immigrati, 391 donne e poi quasi della metà dei detenuti sono in carcere per reati di tossicodipendenza o persone con sofferenza psichica.

Durante il convegno, nel pomeriggio è sopraggiunto anche Gino, un detenuto del carcere di Secondigliano, in permesso per poter partecipare al convegno promosso da Ciambriello. Gino, esce ogni giorno alle 7.30 dal carcere di Secondigliano per recarsi allo Stadio Militare Albricci e rientrano alle 16. In questo lasso di tempo, Gino ha la possibilità di poter iniziare ad incontrare anche la sua famiglia. “In questo stadio militare ci hanno accolto con umanità, con fratellanza. Siamo a contatto con la natura e abbiamo imparato le varie mansioni che servono per la cura del verde”, ha raccontato Gino.  

«Io ringrazio il Dottor Ciambriello per questo invito, sono onorato di essere qui. Ringrazio il magistrato di sorveglianza che ha firmato il permesso per essere presente qui insieme a tutte queste persone. Iniziative del genere sono importantissime, io mi auguro che ci possano essere maggiori iniziative come queste perché in carcere si soffre molto. -ha confessato Gino-. Vivere in un carcere è disumano. Io sono cambiato tantissimo in questi anni, ho lasciato la mia compagna in attesa e l’ho lasciata partorire senza il mio supporto, in carcere ho studiato e sono riuscito a prendere la qualifica elementare, ho imparato tanti mestieri. Queste iniziative all’interno del carcere sono momenti vero calore ma dovrebbero essercene di più, abbiamo bisogno di più opportunità. Ci sono tanti detenuti anche migliori di me che devono avere queste possibilità perché se ha funzionato con me, può funzionare con tutti».

Tutto questo, probabilmente sono e gocce nel mare, rispetto ai dati allarmistici sul soprannumero di detenuti nelle carceri italiane e le conseguenti difficoltà annesse. Elementi però che svolgono una funzione fondamentale per trasformare il tempo in carcere in tempo di rieducazione e dignità, così come previsto dall’articolo 27 della nostra Costituzione.

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