Sos femminicidi, Elisabetta Garzo: «Violenza imprevedibile, ​no alle sottovalutazioni»

La presidente del Tribunale di Napoli: «Il braccialetto elettronico non è un deterrente»

Elisabetta Garzo
Elisabetta Garzo
di Viviana Lanza
Sabato 19 Agosto 2023, 00:01 - Ultimo agg. 16:52
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Le norme, il codice rosso, le denunce delle vittime, il sostegno delle associazioni. Contro il fenomeno terribile della violenza di genere sono state messe in campo da anni misure e iniziative per innalzare al massimo l’attenzione di magistratura, forze dell’ordine e società civile. Eppure, ci sono ancora donne che continuano a morire per mano di uomini che non si rassegnano alla fine della relazione, e non sempre si tratta di donne che hanno scelto di subire in silenzio perché tra le vittime ci sono spesso donne che hanno denunciato le violenze e le minacce ma questo non è bastato a salvar loro la vita. Ne parliamo con Elisabetta Garzo, presidente del Tribunale di Napoli. 

Cosa non funziona ancora?

«Il problema è sicuramente molto grave e va trattato sotto una serie di ottiche diverse.

L’intervento da parte delle forze dell’ordine e della magistratura nell’immediatezza delle denunce credo sia un dato acquisito, ci sono dei tempi molto ristretti per quel che riguarda l’attività del pubblico ministero e c’è grande attenzione da parte delle forze dell’ordine che raccolgono le denunce delle donne che si trovano a vivere queste tragedie. È evidente che c’è bisogno che tutti ci coordiniamo al massimo». 

Come?

«Una risposta può venire da un coordinamento immediato e da un’attenzione ancora maggiore verso quelle denunce che possono apparire meno gravi, sforzandosi di prevedere le conseguenze più imprevedibili anche di fronte ad atti persecutori o stalking».

 

Più che di norme, che ci sono e sono rigorose, la questione riguarda dunque come queste si mettono in pratica e una sorta di sensibilità investigativa di fronte a ogni singola storia?

«Molte volte l’epilogo tragico è del tutto inaspettato, come nel caso della donna assassinata a Piano di Sorrento. In qualità di presidente del Tribunale di Napoli posso valutare la questione nell’ottica successiva del processo. E posso affermare che c’è un rigore estremo nell’affrontare processi che riguardano casi di violenza di genere. Mi sono inoltre adoperata, anche a seguito di incontri con la senatrice Valeria Valente, presidente della commissione d’inchiesta sui femminicidi, per quel che riguarda la cosiddetta vittimizzazione secondaria: sto cercando di creare all’interno del Tribunale nuovi spazi ad hoc, e se non ci sono ancora riuscita è perché i tempi della burocrazia sono purtroppo molto lunghi. Sto interloquendo anche con don Tonino Palmese, garante dei detenuti per favorire determinate situazioni all’interno del processo». 

Cioè?

«Parliamo di processi relativi a vicende che non hanno avuto un epilogo estremamente grave come l’omicidio, in cui sono presenti quindi una persona offesa e un imputato ed è importante garantire la persona offesa di fronte a tutta una serie di insidie e di problematicità di ordine materiale e morale che possono manifestarsi. L’obiettivo è evitare contatti troppo stretti tra persone offese e imputati e spero alla ripresa di individuare dei locali per creare nuovi percorsi e un contatto di tipo informatico, per fare in modo che la vittima sappia esattamente quando deve andare a deporre evitando attese». 

C’è chi ritiene necessario l’uso del braccialetto elettronico nei confronti degli uomini violenti. Concorda?

«Il braccialetto elettronico va bene ma non è un deterrente serio, può essere una misura ulteriore ma non impedisce con sicurezza che certe tragedie si verifichino. Chi ha preso la decisione assurda di uccidere potrebbe farlo nonostante il braccialetto». 

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Da donna, oltre che da magistrato, cosa pensa ogni volta che si verifica un femminicidio?

«Sono stata presidente della Corte d’Assise che ha giudicato il primo episodio di femminicidio, il caso di Veronica Abbate uccisa nel 2006 dall’ex fidanzato. Ne parlo perché la sentenza è oramai definitiva. Veronica fu uccisa dall’ex, che era un militare della guardia di finanza, all’ultimo appuntamento. Da allora ci penso: l’ultimo appuntamento è da evitare, concordo con chi sconsiglia alle donne di accettare un ulteriore incontro per parlare, chiarire, salutarsi perché presenta grossi rischi».

Eppure, nonostante i consigli, i dibattiti e le campagne di sensibilizzazione, il femminicidio è un fenomeno in allarmante crescita. I numeri sono impressionanti. Come mai secondo lei?

«Dietro queste tragedie c’è un grosso disagio psicologico della persona che commette il reato e c’è una grossa evoluzione della donna a fronte di un percorso che non ha seguito gli stessi step da parte dell’uomo che vuole essere dominante. Il tema è estremamente complesso e va affrontato creando sinergie tra culture e competenze diverse, incentivando i dibattiti, occupandosi delle vittime ma anche degli uomini maltrattanti, favorendo la cultura e il confronto anche con le vittime che sono riuscite a uscire da storie di violenze per sviluppare un’attenzione sempre maggiore a ogni sfumatura, perché potrebbe rivelarsi decisiva».
 

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