Ferito in una stesa al Rione Traiano, addio al sogno di fare il pompiere

Ferito in una stesa al Rione Traiano, addio al sogno di fare il pompiere
di Nico Falco
Sabato 15 Settembre 2018, 12:00
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Due proiettili li hanno trovati conficcati su un balcone al terzo piano, altri quattro sono finiti chissà dove: nella notte tra giovedì e venerdì, in via Nerva, a Soccavo, hanno premuto il grilletto almeno sei volte, tante quante i bossoli che la Polizia di Stato ha trovato a terra. Probabilmente è stata una intimidazione per un pregiudicato della zona. Una stesa, con pallottole impazzite che spesso azzoppano o spediscono tra la vita e la morte la persona sbagliata. Come era successo due anni fa a Valentino Esposito, oggi 21 anni, che il 10 agosto 2016 venne colpito al petto. Dopo due anni il padre del ragazzo, Ugo, chiede ancora quell'attenzione che gli fu promessa mentre il figlio lottava in Rianimazione.

Signor Esposito, oggi come sta Valentino?
«Si è ripreso, quei giorni di ospedale sono solo un ricordo ormai, ma non tornerà mai più quello di prima. Le conseguenze di quello che ha subìto lo hanno segnato per sempre, malgrado sia tornato alla vita di tutti i giorni. A luglio abbiamo fatto altri accertamenti, ancora oggi una parte del polmone non funziona, una scheggia di proiettile è rimasta sotto l'ascella e un'altra è ormai inglobata nel fegato. Ha dovuto abbandonare lo sport, deve seguire una dieta particolare. Non può sottoporsi a sforzi intensi, deve stare continuamente sotto controllo. In ospedale il medico ci disse che era forte e che avrebbe potuto superare quelle ferite, ma per giorni la sua vita è stata appesa a un filo».
 
Cosa successe dopo la tragedia?
«Ricevemmo la visita di alcuni politici, venne a casa anche l'assessore Alessandra Clemente per il Comune di Napoli. Parlarono con Valentino, gli chiesero cosa avrebbe voluto fare una volta superato l'incidente. Lui sperava di diventare Vigile del Fuoco, come il nonno, ma coi polmoni in questo stato non passerebbe mai le prove. Gli fu detto che avrebbe potuto ambire a un ruolo in ufficio, lo rassicurarono e gli fecero capire che non avrebbe per forza dovuto dire addio al suo sogno. Per mesi abbiamo sperato che arrivasse una telefonata in cui ci dicessero che finalmente si era sbloccato qualche concorso, che avremmo potuto partecipare a delle selezioni. O che perlomeno non avevano dimenticato questo ragazzo. Ma da allora sono spariti tutti. Dopo le dimissioni di Valentino, quando i riflettori si sono spenti, ci hanno lasciato soli».

In questi due anni non avete fatto nulla?
«Ci eravamo affidati a un avvocato, conosciuto tramite un politico locale, che avrebbe dovuto occuparsi della pratica di invalidità e del riconoscimento come vittima della camorra. Ogni volta che abbiamo chiesto a che punto fossero gli iter ci hanno risposto che le cose stavano procedendo. A conti fatti, però, non è cambiato nulla. Ci siamo fidati, forse abbiamo sbagliato».

All'inizio, viste le modalità del ferimento, era circolata anche l'ipotesi che suo figlio non fosse stato ferito per sbaglio. Forse questo ha rallentato le cose.
«Nelle prime ore, forse si. Ma poi è stato evidente che Valentino non aveva nulla da spartire con chi in quei giorni sparava al Rione Traiano. Lui lavorava e lavora tutt'ora, io sono un operaio navale e mio padre, dopo 35 anni di onorato servizio, è stato insignito del titolo di Cavaliere. Le indagini hanno fatto chiarito che quel giorno non miravano a mio figlio. La camorra me lo ha quasi ucciso, lo Stato non ha fatto nulla per tutelarlo dopo».

In questo tempo cosa è cambiato al Rione Traiano?
«Nulla. La gente perbene vive ancora in un territorio che certi personaggi si spartiscono per i loro affari. Il sistema di sopra e quello di sotto, a seconda della zona. Le forze dell'ordine ci sono, le vediamo, ma anche dopo le grandi operazioni, ricompaiono vedette e spacciatori, sempre negli stessi punti. Giusto il tempo per riorganizzarsi. Le retate, le decine di arresti non servono se poi non arrivano interventi sul territorio. Qui ci sentiamo abbandonati a noi stessi. La nostra famiglia non ha mai cercato i riflettori, non ci interessa divenire fenomeno mediatico: vogliamo solo che quello che è successo a Valentino non venga dimenticato».
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