«La mia vita tra minacce e schiaffi, se potessi lascerei l'ambulanza»

«La mia vita tra minacce e schiaffi, se potessi lascerei l'ambulanza»
di Maria Pirro
Sabato 9 Marzo 2019, 09:00 - Ultimo agg. 14:24
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È la vittima numero sedici nel 2109: Manuel Ruggiero, medico del 118 e presidente dell'associazione Nessuno tocchi Ippocrate, si occupa di denunciare le violenze subite dai colleghi. Ma anche il suo nome è nell'elenco: «Io, per primo, ho paura di lavorare a bordo delle ambulanze: se potessi cambierei mansione», dice il 41enne che sta per diventare papà.

Quando è stato aggredito?
«In realtà, due volte nell'ultimo mese: il 3 e il 26 febbraio».

Che cosa è successo?
«Il primo episodio si è verificato a Gianturco, nei pressi della metropolitana, per un soccorso richiesto a seguito di un incidente stradale tra motociclisti. Non dai parenti della vittima, ma dagli astanti, appena arrivati, siamo stati insultati e minacciati di morte».

Com'è andata a finire?
«Sono riuscito a evitare il peggio, mostrando i tempi di chiamata e arrivo dell'ambulanza registrati sul tablet: esattamente quattro minuti. Ma solo dopo aver fornito una prova della realtà dei fatti, quegli uomini si sono tranquillizzati: prima, ce ne hanno dette di tutti i colori».
 
Secondo episodio, quello più grave.
«Il 26 febbraio. Siamo andati a casa di un paziente psichiatrico nella zona del Pallonetto a Santa Lucia. E quell'uomo ci ha preso a schiaffi: io ne ho beccati cinque o sei, all'altezza del torace, altrettanti l'autista, anche sulla schiena, mentre cercava di scappare».

Nessuno è intervenuto per fermare l'attacco?
«Assolutamente no, anche se i familiari avrebbero potuto farlo: il paziente ci ha lanciato contro anche un bicchiere».

Fin qui il suo bilancio 2019. In precedenza ha subito altro?
«Nel 2017, ci hanno fermato per strada, al Vomero, chiedendo aiuto per un arresto cardiaco, mentre stavamo ritornando da un altro intervento al Cardarelli, e non ci siamo sottratti».

A quel punto, cosa è accaduto?
«Una volta entrato nella casa dove si era verificato il malore, sono stato strattonato e letteralmente alzato di peso, anche se sono alto un metro e novanta, fino al letto del paziente dove poter praticare il massaggio cardiaco. Questo è stato il mio ingresso nel servizio: in precedenza lavoravo come medico coordinatore nella centrale operativa del 118. Subivo solo aggressioni verbali, minacce telefoniche».

Ora ha paura?
«Sì, ho paura, perché è un lavoro ad alto rischio aggressioni. Sempre in prima linea. Può accadere di tutto soprattutto nelle periferie cittadine e, più spesso, a colpire sono i parenti dei pazienti che si arrabbiano per l'attesa anche quando trovano l'ambulanza già sotto casa».

Come difendersi?
«In caso di pericolo possiamo richiuderci a bordo e chiamare la centrale operativa del 118, segnalando che mancano i presupposti di sicurezza per intervenire: questa procedura è prevista dal protocollo».

Quante volte si fa ricorso alla soluzione estrema?
«Pochissime volte, perché lo spirito di servizio spinge sempre ad aiutare: la salute del paziente viene prima delle bestie che ci aggrediscono».

A lei è mai capitato di non poter scendere dall'ambulanza?
«No, ho sempre affrontato la situazione anche a mio discapito».

Quali strategie di autodifesa pratica, allora?
«Se avessi un'offerta di lavoro, lascerei subito il servizio di emergenza. E lo stesso farebbe il 40 per cento dei duecento operatori secondo i risultati di un sondaggio online promosso dall'associazione».

Come scongiurare che nessuno voglia più lavorare in prima linea?
«Innanzitutto, sarebbe utile spiegare ai cittadini le manovre di primo soccorso in modo da ridurre l'impatto dell'attesa: anche cinque minuti, in caso di arresto cardiaco, possono portare alla disperazione e alla violenza. Poi, può servire l'installazione delle telecamere sulle divise e a bordo delle ambulanze già promessa dall'ex manager dell'Asl Napoli 1 Centro».

Incidono anche deficit, ad esempio, nell'organizzazione del servizio di emergenza?
«Non c'è disorganizzazione, ma il numero di ambulanze, sedici in totale, può rivelarsi insufficiente perché i cittadini chiedono l'intervento anche per una banale influenza. Ma anche se ce ne fossero di più in circolazione, le aggressioni si verificherebbero lo stesso».

È un problema nazionale.
«Difatti, è importante che il Parlamento approvi la proposta di legge per riconoscere a medici e operatori sanitari la qualifica di pubblico ufficiale in modo da far scattare la denuncia d'ufficio anziché dover presentare querela di parte contro i violenti, quando la prognosi è inferiore ai 20 giorni».

Ma la situazione appare ancora più grave a Napoli. Perché?
«Perché qui c'è anche un concentrato di disinformazione su come è strutturato il sistema sanitario».

Un esempio?
«I cittadini a volte non sanno nemmeno che esiste la guardia medica, ovvero il servizio di continuità assistenziale sul territorio: chiamano il 118 per qualsiasi malanno, impropriamente».

È solo una questione di disinformazione?
«Anche questo incide. Quindi, da martedì provvediamo noi, come associazione, a una campagna sul tema nei pronto soccorso».

Quanti iscritti raggruppa Nessuno tocchi Ippocrate?
«In totale, 8.100».

Come ha avuto l'idea?
«Mi trovavo nella centrale del 118, quando un equipaggio del San Gennaro venne a rintanarsi lì dopo un'aggressione subita nel pronto soccorso. Vedendo la faccia disperata del collega, decisi di creare una pagina Fb e, da giugno 2017, l'associazione che ha poi registrato 82 aggressioni nel 2018, 18 quest'anno»

Qual è l'episodio più grave riferito dai colleghi?
«Il sequestro di un'ambulanza, e anche del suo autista, ai Pellegrini, per
portare in ospedale la vittima di un incidente stradale. Il 28 maggio 2018».
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