Napoli-Manchester City, quel sangue offende tutta la città

di Vittorio Del Tufo
Giovedì 2 Novembre 2017, 09:54 - Ultimo agg. 09:56
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Dubitiamo che certi tipi da Curva, cresciuti nell'odio e nel disprezzo degli avversari, possano conoscere un linguaggio diverso da quello della violenza e della sopraffazione. Saremmo tentati dal derubricare la loro epica impresa di martedì sera - la caccia all'uomo sul Lungomare con i tre tifosi inglesi e il ristoratore di Santa Lucia pestati a sangue - come un tipico esempio di analfabetismo culturale, lo spettacolo tribale di una teppaglia convinta che la vita sia una rappresaglia continua. Però il monumento all'odio innalzato dal branco che ha massacrato di botte gli inglesi non sporca soltanto loro, i teppisti «analfabeti». Sporca, insulta e macchia di fango l'intera città, che assorbe gli effluvi tossici degli ultrà in cerca di risse e scopre, ogni volta, di non avere gli anticorpi per liberarsene, per ricacciarli nel buco del Medioevo dal quale provengono.

Gli ultrà che hanno inseguito i sostenitori del Manchester City fin dentro il ristorante di Santa Lucia pestando il proprietario che cercava di difenderli non sono degni di indossare la divisa di tifosi del Napoli innanzitutto per questo motivo: non sono soltanto nemici del calcio, sono nemici della città. Vorremmo chiedere scusa per loro, soprattutto vorremmo scrollarceli di dosso con un'alzata di spalle: purtroppo non possiamo farlo. Possiamo però pretendere dalla stragrande maggioranza di «veri» tifosi (chi è davvero innamorato del Napoli è innamorato di Napoli, e non la sporca) di vigilare, isolare i violenti e innalzare attorno a loro una cortina di ferro. Da una parte chi ama la città, dall'altra chi la deturpa esibendo l'antropologia della giungla. È una magra consolazione pensare che il ristoratore che ha difeso i tifosi del Manchester City (offrendo loro riparo nel proprio locale) incarni la Napoli migliore; quelli che continuano a sporcarla trovano riparo nei luoghi oscuri della città, che non sono solo le curve di uno stadio di calcio. I protagonisti della caccia all'uomo hanno quasi tutti meno di diciotto anni: i loro luoghi oscuri sono le periferie sventrate, le famiglie che hanno ormai abdicato dall'esercitare il proprio ruolo, i modelli educativi che hanno fallito la loro missione, le sirene dei clan con il loro fascino perverso.

Questa deriva di violenza riguarda tutti, nessuno si senta escluso, o al riparo. I minorenni che fanno a botte esibendo il loro linguaggio basico (il linguaggio del corpo, innanzitutto: le botte all'avversario per stabilire un dominio) sono lo specchio deformato di una città malata. Provare sollievo pensando che non sono i nostri figli è un esercizio autoconsolatorio che non ci porterà da nessuna parte.