Sparò per uno scooter a Napoli, la confessione del baby bandito: «Quello scemo non lo voleva mollare»

Raid al distributore di benzina, preso un 17enne: si era nascosto a Castel Volturno

Un fermo immagine dal video della rapina
Un fermo immagine dal video della rapina
di Luigi Sabino
Venerdì 15 Settembre 2023, 23:00 - Ultimo agg. 17 Settembre, 07:53
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Lo hanno preso. Il responsabile del tentato omicidio di Fabio Varrella è stato arrestato, ieri mattina, dai carabinieri della compagnia Poggioreale e dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli al termine di un’articolata attività investigativa. Si tratta di E.P., diciassettenne del quartiere Ponticelli. Sarebbe stato lui, secondo le forze dell’ordine, a esplodere i due colpi di pistola che, la sera del 29 marzo scorso per poco non uccisero Fabio che, disperatamente, cercava di salvare il suo scooter da un tentativo di rapina.

Un’indagine che non ha mancato di riservare colpi di scena e che, alla fine, si è conclusa con la cattura del giovanissimo criminale. Una bruttissima storia che inizia poco prima delle venti di una sera di primavera quando Fabio Varrella, un giovane ingegnere napoletano, accostò con il suo il suo Beverly appena acquistato a un distributore di benzina di via Reggia di Portici per fare rifornimento. Non si accorge dei due soggetti che, da qualche centinaio di metri, lo stanno seguendo aspettando solo l’occasione propizia per mettere a segno il colpo. È un attimo. Lo scooter dei rapinatori, un X-ADV anche questo di provenienza illecita, irrompe nella piazzola. Il passeggero, che Fabio settimane dopo descriverà come un magrolino di bassa statura e dalla voce da ragazzino, gli punta contro una pistola. Vuole lo scooter altrimenti apre il fuoco. Fabio non molla, però. A questo punto il criminale si fa più minaccioso. Raggiunge la preda e le punta la pistola alla tempia. Neanche questo, tuttavia, piega l’ingegnere che, anzi oppone resistenza. Il rapinatore, a questo punto, spara. Un primo colpo che raggiunge Fabio ad una gamba facendolo cadere con il suo scooter. Non contento il suo aggressore, prima di fuggire con il complice, esplode un secondo proiettile che colpisce la vittima al bacino. Fabio è subito soccorso e portato all’ospedale del Mare dove le sue condizioni sono giudicate immediatamente gravissime. Bisogna operarlo d’urgenza altrimenti rischia di perdere la gamba a causa dei danni causati dal proiettile.

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Nel frattempo, sul luogo della tentata rapina arrivano i carabinieri che trovano il Beverly di Fabio, che qualcuno ha rimesso sul cavalletto, con vistose macchie di sangue. Non solo. Recuperano anche due bossoli e un’ogiva, elementi questi che si riveleranno fondamentali per le indagini. Le indagini procedono senza sosta e un primo risultato si ottiene già qualche settimana dopo quando i carabinieri, nel corso di un controllo nel parco Conocal di Ponticelli non solo trovano lo scooter usato per il sanguinoso tentativo di rapina ma anche il giubbotto indossato da uno dei due responsabili. Passa qualche giorno e un’altra scoperta stringe il cerchio intorno al diciassettenne. Sono sempre i carabinieri, nel corso di una perquisizione presso la sua abitazione, a trovare, oltre a droga e a un documento contraffatto, anche proiettili del tutto compatibili con quelli che hanno ferito Fabio. Elementi, quelli recuperati dall’Arma, che, come tasselli di un mosaico, vanno a incastrarsi alla perfezione con altri elementi raccolti dalla Squadra Mobile di Napoli nell’ambito di un’indagine su diverse altre rapine compiute con lo stesso modus operandi. Rapine che, a quanto pare, sarebbero state commesse da una batteria legata al clan De Micco.

Tanto basta per far partire le intercettazioni. Sotto controllo finiscono telefoni e anche l’abitazione che si sospetta possa essere il centro operativo della banda. Grazie a queste si raccolgono le prime ammissioni del giovane criminale ma ancora non bastano. Serve qualcosa in più e allora l’idea è quella di una trappola. Alcuni funzionari della Mobile si recano nel Conocal per convocare alcuni suoi compari in Questura per interrogarli sulla tentata rapina del 29 marzo. Non solo. Quando lo incontrano, uno degli investigatori gli fa una battuta sulla sua bassa statura, la stessa del rapinatore che per poco non ha ucciso Fabio. Il 17enne, a questo punto, capisce che le “guardie” sanno e va nel panico. Prima vuole scappare, poi, ad un amico, chiede di contattare un avvocato ma, soprattutto, ammette le sue responsabilità. A chi gli chiede se ne valeva la pena ammazzare per uno scooter risponde di averlo fatto perché Fabio era “scemo” ossia perché aveva fatto resistenza. Racconta anche di aver partecipato ad altri colpi ma di aver smesso altrimenti ci sarebbero stati “altri sette sparati”. Alla madre che cerca di fargli coraggio le urla contro di “svegliarsi” perché ormai sanno che è stato lui. Ha ragione. Gli investigatori lo sanno ma quello che il ragazzino non sa è che mancano ancora le prove decisive, prove che lui stesso gli sta fornendo parlando a ruota libera.
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