Napoli, la banda del phishing: «Che ci importa del carcere, tanto dopo abbiamo i soldi»

Le intercettazioni della banda del phishing

Napoli, la banda del phishing: «Che ci importa del carcere, tanto dopo abbiamo i soldi»
di Aniello Sammarco
Mercoledì 26 Maggio 2021, 08:38 - Ultimo agg. 27 Maggio, 08:04
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Non ci sono distinzioni di età né di sesso tra le vittime prese di mira dalla banda specializzata nel cosiddetto phishing bancario sgominata dagli agenti di polizia di Torre del Greco e dalla Procura di Torre Annunziata. Le denunce provengono da tutta Italia. C'è A.A., 62 anni, che il 2 marzo si rivolge ai carabinieri di Verdello (Bergamo), che scopre due ammanchi per prelievi effettuati da uno sportello di Torre del Greco. A.G.S. di Alghero, 60 anni, finisce nella rete dei truffatori il 22 maggio 2020: la buona fede della donna viene carpita in relazione all'attivazione della chiavetta Key Smart che utilizza per il conto corrente. M.E., di 52 anni, scopre di essere finita nella rete dei truffati ricevendo una telefonata di un vero incaricato di Intesa SanPaolo «che mi chiedeva se ero stata io ad eseguire dei prelievi». È il 18 marzo 2020: la donna il 22 marzo decide di presentarsi ai carabinieri di Cercola per denunciare la vicenda.


Le denunce costituiscono un altro tassello del puzzle che ha portato i sette di Torre del Greco in carcere.

Carcere che veniva considerato come una sorta di rischio d'impresa dai giovani, come si evince da un'intercettazione captata il 17 luglio. A parlare è Raffaele Perna, fratello del centralinista Antonio. «Io non lo tengo il problema sottolinea io posso fare anche due-tre anni di carcere. Io esco e ho i soldi, che me ne frega».

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Certo, le cose cambiano dopo il controllo che risulterà determinante per le indagini. Il gruppo è operativo in una stanza di un B&B di Roma (stanza nella quale sono state piazzate anche telecamere e microfoni che permettono di registrare le conversazioni di Antonio Perna con le vittime). È qui che la polizia postale il 20 luglio 2020 blocca insieme a Perna, Giuseppe Stupore, Giovanni Montella e Giuseppe Vitiello.

In quella occasione vengono sequestrati due computer portatili e diversi telefoni utilizzati per effettuare i prelievi agli sportelli (che spesso sono stati filmati dagli inquirenti). I quattro commentano l'accaduto ricollegandolo al precedente sequestro operato dal personale del commissariato di polizia ai danni di Cascone tre mesi prima, il 26 aprile. Giovanni Montella si mostra estremamente preoccupato. «Adesso ti dico una cosa: noi possiamo prendere sette-otto anni di carcere. Sul mio telefono ho un macello». Questo «macello», opportunamente ricostruito, ha portato ad attribuire alla banda 93 episodi; ma altri ancora potrebbero emergere dalle successive indagini che le procure di Roma e Napoli decideranno di aprire dopo aver ricevuto gli atti dal gip di Torre Annunziata.

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