Carabiniere ucciso, i dubbi e le accuse del cugino: «Ci sono troppi buchi neri»

Carabiniere ucciso, i dubbi e le accuse del cugino: «Ci sono troppi buchi neri»
di Daniela Spadaro
Domenica 28 Luglio 2019, 08:30
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SOMMA VESUVIANA - «C'è qualcosa di più grande, c'è qualcosa che non ci dicono, non riesco a togliermi questo pensiero dalla testa». Mario Rega Cerciello, cugino e omonimo del carabiniere accoltellato a Roma, non riesce a darsi pace. Figli di due fratelli, i due avevano un buon rapporto, si sentivano al telefono e spesso si incontravano quando il militare tornava a Somma Vesuviana dove entrambi erano cresciuti. Mario cinque anni più grande del cugino raggiunto al telefono dapprima si schermisce, non vuol parlare. «Hanno detto tutto, stanno già dicendo di tutto, noi sappiamo solo di aver perso un ragazzo d'oro. Io so di aver perso un fratello».
 
Se gli si chiede di raccontare chi era davvero Mario, nella veste in cui soltanto chi è cresciuto accanto a lui può dire, allora si commuove. «Era buono, ma era buono davvero. Portava alti i valori della famiglia che siamo, ha saputo sobbarcarsi tutti i problemi e la cura della famiglia quando è mancato il suo papà, poi è riuscito a realizzare il sogno di entrare nell'Arma dei carabinieri». Si lascia andare Mario Rega Cerciello, di professione commerciante e titolare da qualche anno di una ditta che rivende al dettaglio piastrelle, ceramiche, rivestimenti e mosaici, al confine tra Somma Vesuviana e la vicina Marigliano.

Si lascia andare al dolore e alla rabbia e sbotta: «Ci sto pensando continuamente e non riesco a smettere di farlo: c'è di sicuro qualcos'altro sotto questa storia, io non posso crederci che mio cugino si sia fatto sopraffare così, che un ragazzino abbia potuto affondare per una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto volte una lama e che lui non sia riuscito a difendersi». Pensieri, dubbi e un crescendo di emozioni che esplode e che è influenzato naturalmente da tutte le ricostruzioni, dagli elementi discordanti. Mario Cerciello Rega, il cugino che porta lo stesso nome del carabiniere «eroe», ha pianto colui che chiama «fratello», si è stretto alla famiglia, ma non può far a meno di pensare. Vuole giustizia, è chiaro. «Giustizia? Cos'è la giustizia? Nulla di tutto ciò che è accaduto è giusto, probabilmente non lo sarà nemmeno quello che accadrà dopo. Noi vogliamo la verità, è un'altra cosa». E i colpevoli in carcere, è naturale. Mentre sui social network si fanno processi sommari, mentre c'è chi chiede di rinchiudere l'assassino che ha confessato e di buttare via le chiavi per sempre, Mario Cerciello Rega confessa: «La prima cosa che viene in mente è quanto sarebbe giusto vederli rinchiusi, vederli soffrire e magari peggio, ma so che mio cugino non l'avrebbe pensata così. Lui avrebbe voluto la verità ed è quello che vogliamo anche noi. Se la merita la famiglia, se la merita sua moglie, se la merita quella vita sognata che stava finalmente costruendo quella felicità che tutti abbiamo visto nel bellissimo giorno del suo matrimonio ecco, noi chiediamo solo questo. Vogliamo sapere». Non vuole addentrarsi nei dettagli, Mario. Non vuole parlare del pusher che irritualmente chiama il 112, degli studenti americani che dormono in hotel da duecento euro a notte e che rispetto alle prime ricostruzioni hanno preso il posto dei nordafricani. «Io so solo che c'è qualcosa che non torna, non torna proprio. Tutto qua. Sensazione, dubbio, chiamatela come volete. Non voglio dire nient'altro. Rispettate il dolore dei familiari, solo questo importa adesso. Oltre alla verità».
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