Sea Eye sbarcata a Napoli: «Il fuoco, il naufragio, in tanti morivano e io lottavo per vivere»

Il dolore e la speranza di una nuova vita

I migranti sbarcati a Napoli
I migranti sbarcati a Napoli
di Gennaro Di Biase
Mercoledì 8 Febbraio 2023, 09:27
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C'è la giovanissima sposa fuggita da un matrimonio imposto, la mamma di tre bimbi partita dalla sua casa in Nigeria nel 2021 e arrivata solo l'altro giorno a Napoli dopo essere stata picchiata, abbandonata dal marito e sfruttata in Libia. Il ragazzino che ha visto morire suo fratello durante il naufragio. Le storie dei 106 migranti sbarcati dalla Sea Eye, ospitati nel Covid Residence dell'Ospedale del Mare, sono lo specchio della disperazione che ora è diventata speranza.

Kester racconta la sua storia seduta su un divano del Covid Residence. Intorno a lei ci sono i suoi tre figli di 5, 9 e 12 anni. «Siamo partiti dalla Nigeria circa un anno e mezzo fa - dice, mixando inglese e italiano - Poi siamo arrivati in Libia, dove mi hanno sfruttato come lavoratrice per molto tempo: lavoravo nel riso, e facevo acconciature di capelli». Qui uno dei suoi bimbi inizia a piangere. Kester lo guarda e prosegue toccandosi la tempia sinistra: «Mio marito mi ha abbandonata dopo avermi picchiata. Non cerco più l'amore, voglio solo che i miei figli vivano meglio. Quando siamo saliti sulla Sea Eye, abbiamo ritrovato la speranza. Abbiamo pregato molto».

Mariam Camara ha 23 anni, arriva dalla Guinea e parla francese. Ha la voce viva e gli occhi provati. «Ho perso mia mamma da piccola e mi hanno costretto a sposarmi con un uomo che non volevo e non amavo. Ne ho sofferto molto e sono scappata». Qui Mariam abbassa lo sguardo e riporta la mente alla terribile traversata nel Mediterraneo: «Ho perso 2 amici durante il viaggio e ho avuto molta paura. Ma adesso devo andare avanti e pensare a studiare. Al mio Paese studiavo economia, vorrei tanto continuare. Se il mio sogno era Napoli? Volevo solo abbandonare l'incubo della mia vita. Per partire ho pagato 2500 dinari». Cioè, 401 euro.

La storia di Assye Konate è tra le più strazianti della Sea Eye. Costretto su una sedia a rotelle per le ferite riportate, ha 17 anni ed è nato in Costa d'Avorio. «Ho perso un fratello durante la traversata. Dormiva vicino a me ed è morto al mio fianco - sospira - Il giorno in cui si è distrutta la barca era il secondo di navigazione. Ricordo che è venuto a piovere: questo ha danneggiato il motore e causato l'incendio. Ricordo che il naufragio è avvenuto l'ultimo sabato di gennaio. Sono rimasto in acqua 6 giorni, senza mangiare e senza bere se non acqua di mare. Ho perso i genitori da piccolo, perciò nel mio Paese non avevo più futuro. Ora sogno di lavorare nella meccanica e di provare a fare il calciatore. Sono bravo». Poi lo sguardo di Assye si riempie di lacrime, della disperazione appena affrontata. «Sono stati giorni molto strani - conclude - molti impazzivano: alcuni si buttavano in mare, altri perdevano la testa e altri ancora morivano così, all'improvviso».

Frank, 30 anni, è arrivato con sua moglie Cloe dalla Guinea: «Un incubo, ho visto gente morire - esordisce - erano circa 20 persone che sono sparite in mare e non sono più risalite.

L'incidente è avvenuto nelle prime ore del mattino, in acque internazionali. Siamo scappati dalla guerra, perché in Africa si muore per la strada, senza un motivo, a causa delle sparatorie. Voglio vivere ovunque, tranne che in Africa». «Voglio solo lavorare, in qualsiasi campo, e passare una vita serena», conclude Cloe.

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«Abbiamo patologie particolari - spiega Ciro Verdoliva, direttore generale dell'Asl Napoli 1 - fratture, ustioni dovute al viaggio in gommone e all'incendi che ha provocato il naufragio. Ci stiamo lavorando. Inviare Usmaf e i nostri medici a bordo prima dell'attracco è stato importante: ci ha permesso di organizzare le cure e la parte alloggiativa qui all'Ospedale del Mare. Da qui, i migranti verranno dislocati nelle strutture in città e fuori regione». Tra i ricoverati, figurano due donne in gravidanza. Una delle due, ha accusato dolori addominali dovuti probabilmente all'assunzione di acqua di mare. Un'altra crepa nello specchio dell'umanità.

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