Ha 32 anni Sabdon e lavora nei campi tra dolore, miseria ed incertezza. E' senegalese e vive in Italia da 12 anni. Da quando decise di venire qui per cambiare il suo futuro. Un destino che ormai è contraddistinto dalla disperazione e dallo sfruttamento di un lavoro estenuante e senza alcuna certezza. Dieci e più ore di lavoro ogni giorno per venti giorni al mese. Pagate dai tre ai quattro euro all'ora e che spesso non vengono neanche riconosciute. «Capita anche che in busta paga – racconta – ci vengano retribuiti solo cinque giorni, ma non possiamo farci niente. Andiamo avanti tra mille difficoltà e lavoriamo nonostante ci sia il sole o il diluvio. Anche per questo abbiamo il terrore di ammalarci perchè – in quel caso – il datore di lavoro non pensa alla nostra salute e siamo costretti a cercare un medico o una farmacia. Ma la cosa peggiore è perdere ore e giorni di lavoro che non ci consentiranno di mettere da parte la somma giusta per pagarci da mangiare e pensare al rinnovo del permesso di soggiorno».
Sabdon infatti, ha un regolare permesso ma il terrore di non poterlo rinnovare lo accompagna costantemente.
«Questi – prosegue – sono tutto quello che ci separa dalla terra. Dal fango o dalle pietre che incontriamo durante il lavoro. Non c'è nessuna differenza se piove o c'è il sole. Questi sono la nostra unica protezione e ci permettono di guadagnare qualcosa. Con i cinquecento euro che a volte riusciamo a mettere da parte dobbiamo pensare a tutto e non ci bastano. Viviamo in baracche e senza alcuna protezione. Senza nessuna possibilità di poterci tutelare in questo periodo in cui il covid è così aggressivo e ci spaventa. Ma questo non ha cambiato il nostro stile di vita. Quello che era prima è anche adesso. Siamo tutti insieme, cinque o sei in una sola baracca, con mascherine che a volte usiamo per giorni e giorni. Anche noi siamo “invisibili” e nessuno ascolta la nostra voce. La nostra sofferenza è tra i prodotti della terra che raccogliamo. Tra lo sfruttamento che subiamo da sempre e che continua ogni giorno sotto gli occhi di tutti».