Sfruttato per lavorare nei campi a 3 euro l'ora: la storia di sofferenza di Sabdon

Sfruttato per lavorare nei campi a 3 euro l'ora: la storia di sofferenza di Sabdon
di Oscar De Simone
Domenica 31 Gennaio 2021, 14:44 - Ultimo agg. 19:35
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Ha 32 anni Sabdon e lavora nei campi tra dolore, miseria ed incertezza. E' senegalese e vive in Italia da 12 anni. Da quando decise di venire qui per cambiare il suo futuro. Un destino che ormai è contraddistinto dalla disperazione e dallo sfruttamento di un lavoro estenuante e senza alcuna certezza. Dieci e più ore di lavoro ogni giorno per venti giorni al mese. Pagate dai tre ai quattro euro all'ora e che spesso non vengono neanche riconosciute. «Capita anche che in busta paga – racconta – ci vengano retribuiti solo cinque giorni, ma non possiamo farci niente. Andiamo avanti tra mille difficoltà e lavoriamo nonostante ci sia il sole o il diluvio. Anche per questo abbiamo il terrore di ammalarci perchè – in quel caso – il datore di lavoro non pensa alla nostra salute e siamo costretti a cercare un medico o una farmacia. Ma la cosa peggiore è perdere ore e giorni di lavoro che non ci consentiranno di mettere da parte la somma giusta per pagarci da mangiare e pensare al rinnovo del permesso di soggiorno». 

Sabdon infatti, ha un regolare permesso ma il terrore di non poterlo rinnovare lo accompagna costantemente.

Per questo, durante il suo racconto prende gli stivali che indossa nei campi e decide di mostrarli.

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«Questi – prosegue – sono tutto quello che ci separa dalla terra. Dal fango o dalle pietre che incontriamo durante il lavoro. Non c'è nessuna differenza se piove o c'è il sole. Questi sono la nostra unica protezione e ci permettono di guadagnare qualcosa. Con i cinquecento euro che a volte riusciamo a mettere da parte dobbiamo pensare a tutto e non ci bastano. Viviamo in baracche e senza alcuna protezione. Senza nessuna possibilità di poterci tutelare in questo periodo in cui il covid è così aggressivo e ci spaventa. Ma questo non ha cambiato il nostro stile di vita. Quello che era prima è anche adesso. Siamo tutti insieme, cinque o sei in una sola baracca, con mascherine che a volte usiamo per giorni e giorni. Anche noi siamo “invisibili” e nessuno ascolta la nostra voce. La nostra sofferenza è tra i prodotti della terra che raccogliamo. Tra lo sfruttamento che subiamo da sempre e che continua ogni giorno sotto gli occhi di tutti». 

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