Tragedia del Ponte Morandi di Genova, papà Battiloro: «Quattro anni d'inferno, dura evitare il suicidio»

Tragedia del Ponte Morandi di Genova, papà Battiloro: «Quattro anni d'inferno, dura evitare il suicidio»
di Francesca Mari
Lunedì 15 Agosto 2022, 09:25 - Ultimo agg. 13:00
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«Il presidente Mattarella durante la commemorazione a Genova delle vittime del Ponte Morandi ha invitato noi familiari a stare dalla parte delle Istituzioni. Ma in questi quattro anni d'inferno in cui, oltre al dolore indicibile, abbiamo dovuto condurre battaglie assurde, anche contro inezie, dove erano le Istituzioni? Nessuno ci ha teso la mano, solo lo spirito di sopravvivenza ci ha impedito di scegliere il suicidio. Vogliamo giustizia, vorremmo tornare ad avere un briciolo di fiducia nello Stato dopo aver perso 43 persone. Un ponte non crolla così. Lo Stato italiano deve rimediare alla figuraccia che ha fatto di fronte a tutto il mondo».

Roberto Battiloro, l'operatore della Rai di Napoli e papà di Giovanni, una delle quattro vittime di Torre del Greco insieme ad Antonio Stanzione, Matteo Bertonati e Gerardo Esposito, ieri la cerimonia di Genova l'ha seguita in Tv.

Da quella casa sul Vesuvio che dalla tragica morte del figlio è diventata un rifugio per lui, per sua moglie Carmela e per la loro figlia Laura. La famiglia Battiloro insieme a quella di Egle Possetti di Pinerolo - che nella tragedia ha perso la sorella, il cognato e i loro figli- sono le uniche a non aver accettato il risarcimento di Autostrade. E non partecipa alle cerimonie di commemorazione di quello che definisce «omicidio di Stato».

Roberto, a quattro anni dalla tragedia quale sentimento prevale?
«Il dolore non è mai finito. È vivo ogni giorno per me e la mia famiglia, solo che c'è maggiore consapevolezza di una mancanza che è diventata seria. E poi c'è la rabbia: lo Stato e i Benetton uccidendo mio figlio mi hanno ammazzato e strappato il cuore a mia moglie e a mia figlia. Sopravviviamo. Ora confidiamo nella giustizia perché 43 italiani non siano morti invano».


Il processo per i 59 indagati riprenderà a settembre. Cosa si aspetta?
«Una piccola vittoria è stata quella di aver contribuito in minima parte, con una perizia privata durante gli incidenti probatori, al rinvio a giudizio degli imputati. Sono stato in aula, lo dovevo a mio figlio. Ora chiediamo a gran voce che il processo non sia negato ai giornalisti, come ha chiesto il magistrato. Il mondo deve sapere, questo è un processo di responsabilità pubblica. Tutti devono sentire le motivazioni allucinanti addotte dalla difesa».

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Ha mantenuto rapporti con le famiglie delle altre vittime?
«C'è il dolore che ci accomuna, ma non ci vediamo. Ognuno è assorto nella propria vita. Con le famiglie di Torre abbiamo fatto scelte diverse, ma il dramma che ci unisce resta».

La sua famiglia non ha partecipato alla commemorazione di Genova e nemmeno a quella di Torre del Greco. Perché?
«Abbiamo scelto di far dire una messa a don Mario Pasqua nella chiesa di Santa Maria del Carmine per Giovanni e le altre vittime. La fede è l'unico ponte tra noi e chi non c'è più. Le Istituzioni non ci hanno mai teso la mano, abbiamo fatto tutto sempre a nostre spese e pagando ogni scelta. La salma di mio figlio Giovanni non è nel monumento realizzato al cimitero dal Comune per i quattro ragazzi, è in una tomba di famiglia. Quel monumento è indecoroso: realizzato su un marciapiede, accanto a uno scolo dell'acqua e senza alberi o una panchina. La tomba era collocata ad oltre tre metri di altezza da impedirci di portare un fiore a mio figlio. Mia moglie ci passa la vita al cimitero. Chiedemmo di fare qualche modifica, ci risposero che non c'erano soldi. Ora chiediamo che il nome di Giovanni sia cancellato da quella lapide. Ci hanno accusato di avere la puzza sotto il naso, chiedevamo solo dignità per quei quattro giovani morti nel fiore della vita».

Ora Giovanni avrebbe avuto 33 anni. Cosa avrebbe fatto?
«Avrebbe continuato a fare il videomaker. Il suo sogno era andare a lavorare a Barça Tv coltivando la sua grande passione: il giornalismo sportivo e la squadra del Napoli. O, forse, avrebbe lasciato questo mestiere così bello ma diventato impossibile».

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