Napoli, trans muore di cancro e riceve il nome maschile sui manifesti funebri: «Uccisa dalla famiglia»

A sinistra Alessia Cirillo, a destra il manifesto funebre fatto affiggere dalla famiglia
A sinistra Alessia Cirillo, a destra il manifesto funebre fatto affiggere dalla famiglia
di Gennaro Morra
Martedì 21 Aprile 2020, 22:08 - Ultimo agg. 22:09
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Una “O” al posto di una “A” su un manifesto funebre per rifiutare una volta di più quella scelta del figlio mai accettata. E così Alessia ha dovuto subire un’ulteriore umiliazione, stroncata a soli 30 anni da un cancro ai polmoni. Una malattia affrontata a Perugia, la città dove si era trasferita tre anni fa, dopo che la famiglia l’aveva cacciata dalla sua casa di Pompei, incapace di sopportare lo scandalo dovuto a un’intervista tv rilasciata dalla trans.
 
«In quell’occasione Enrico Lucci de Le Iene aveva seguito un pellegrinaggio della comunità LGBT a Montevergine in visita a Mamma Schiavona – racconta Paola, che ha denunciato il caso anche su Facebook e a La Radiazza –. E Alessia si era fatta intervistare con l’entusiasmo e l’esuberanza che la contraddistinguevano». Ma quell’apparizione televisiva non era piaciuta ai genitori: «Loro sapevano che quel figlio adottivo in realtà voleva essere donna, ma fin quando era rimasto un fatto privato, avevano fatto finta di niente. Poi, quando Alessia andò a dirlo in televisione, per loro fu una vergogna troppo grande e la mandarono via».

In effetti, Alessia era nata a Mosca ed era arrivata in Italia all’età di sette anni, adottata da una famiglia di Pompei: «Già in Russia il destino era stato crudele con lei – spiega ancora Paola –. Suo padre faceva affari con la malavita russa e una volta fu rapito con la famiglia, che dovette assistere anche all’uccisione di una sorellina di Alessia».
 
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Con questo pesante background emotivo sulle spalle, il bambino arriva in Campania, adottato da una famiglia di Pompei. Qui cresce con un corpo che tradisce l’identità genetica sancita dalla carta d’identità: «Alessia è sempre stata donna, anche nelle sembianze fisiche – racconta ancora l’amica –. Prima che si ammalasse, aveva iniziato il percorso per il cambio di sesso, chiedendo anche la modifica dei documenti, ma purtroppo non è riuscita a completarlo. Per questo quel “Signor Alessio Cirillo” scritto dalla famiglia sul suo manifesto funebre è un oltraggio alla sua memoria». Un ultimo colpo assestato a una vita che le ha regalato più dolori che gioie: «Alessia era stanca, consumata dalla battaglia per farsi accettare, poi dall’abbandono, prima della famiglia russa e dopo di quella napoletana. Infine, dalla malattia e dalle chemio, che aveva affrontato sempre con il sorriso sulle labbra, recandosi agli appuntamenti con medici e infermieri vestita di tutto punto, tacchi a spillo e abiti alla moda, tanto da diventare la mascotte del reparto, lì all’ospedale di Perugia. Per questo non ho potuto restare zitta quando ho visto quei manifesti pubblicati da una famiglia che non è mai andata a trovarla in ospedale. Eppure lei ci ha sperato fino a una settimana fa, quando finalmente ha smesso di soffrire».
 
Ma nel capoluogo umbro la trans aveva trovato una terza famiglia, l’associazione Spazio Bianco, che l’aveva praticamente adottata e se n’era presa cura durante la malattia. Grazie ai volontari di quest’organizzazione Alessia era entrata in contatto con Vladimir Luxuria. E la scrittrice oggi ha voluto ricordarla con un videomessaggio pubblicato su Facebook: «L’associazione Spazio Bianco ha fatto affiggere manifesti con il nome “Alessia Cirillo”, mentre la sua famiglia adottiva, a Pompei, non solo ha fatto scrivere il suo nome al maschile, ma addirittura ha aggiunto “il signor Alessio Cirillo” – ha detto tra l’altro l’ex deputata –. Alessia è sicuramente morta per la malattia, ma è stata uccisa da una famiglia che ha smesso di essere tale nel momento in cui non ha voluto più accogliere questa figlia solo perché trans».
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