Un bacio sulla bocca prima di premere il grilletto e un selfie con il telefonino subito dopo, con le mani ancora sporche di sangue. I particolari dell’uccisione di Vincenzo Amendola delineano i contorni di un affresco cupo che descrive in quali abissi possa sprofondare l’animo umano. Il 18enne scomparso dal «Bronx» di San Giovanni a Teduccio all’inizio di febbraio e poi ritrovato sepolto in un podere agricolo della zona sembrano usciti dalla sceneggiatura di un pulp napoletano, e invece sono il condensato di una violenza realmente commessa in una delle tante zone della periferia cittadina che continua a essere ostaggio della camorra.
Le fasi della mattanza sono ricostruite nel decreto di fermo emesso dalla Procura nei confronti di Gaetano Nunziato, il pregiudicato 23enne che si è pentito offrendo agli inquirenti gli elementi utili a risalire a presunti mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio; da venerdì «Pampers», come tutti lo chiamano nel rione, ha cominciato a collaborare con la giustizia facendo anche ritrovare il cadavere dell’amico brutalmente assassinato la sera del 4 febbraio. Per questo assurdo delitto scatenato da un semplice sospetto - l’ombra di una presunta relazione intrecciata dalla vittima con la donna di un boss del clan Formicola - qualcuno decise che Vincenzo doveva pagare il prezzo più alto: quello della vita. La ricostruzione dei fatti che qui segue si basa su due elementi: su attività investigative «tecniche» e sulle dichiarazioni rese da Nunziato.