Vela Gialla, secondo giorno di abbattimento. Le gigantesche pinze meccaniche procedono senza soluzione di continuità a distruggere tutto; all’esterno del cancello che delimita il cantiere c’è una folla silenziosa e commossa che non smette di osservare, senza dire una sola parola. Adesso la porzione esterna della Vela, quella che affaccia su via Labriola, è un rudere irriconoscibile, quasi completamente cancellata.
All’interno del cantiere gli operai si difendono dalle paurose nuvole di polvere che si sollevano ad ogni spezzone di abbattimento, utilizzando mascherine e bandane ben calzate su bocca e naso: accesso vietato a chiunque perché il pericolo è elevato e il giorno della celebrazione con il sindaco e gli abitanti delle Vele s’è concluso: chi vuol guardare deve stare fuori. E lì fuori sono in tanti.
Meno lacrime rispetto al primo giorno di abbattimento, adesso è subentrata la tristezza che contraddistingue tutti i momenti di transizione. Se nel giorno della celebrazione tutti guardavano al futuro e immaginavano la nuova Scampia, adesso, nel giorno numero due dei lavori, chi è qui a guardare pensa solo al dolore di ciò che ha lasciato dentro la Vela: non roba materiale, ché quella è stata portata via; stavolta il pellegrinaggio prevede una inesauribile litania di ricordi, memorie, sorrisi e lacrime.
Si ricordano i giorni del Natale, freddi per la mancanza di riscaldamento ma caldissimi perché tutti i ballatoi erano una festa dii luci e colori; si riparla dei giorni della festa per lo scudetto del Napoli quando la celebrazione più grande, sostengono i “veliani” s’è tenuta nel cuore malridotto dei palazzoni di Scampia. Poi, ovviamente c’è chi ripensa a mamme, papà, fratelli che non ci sono più, chi maledice il marchio del malaffare ingigantito dalla tv e dai media. C’è un momento, però, in cui tutti tacciono. Una donna, giovanissima, emette un grido strozzato, indica la pinza che sta strappando via una parete: «Quella è la camera mia - urla in dialetto - quella è la camera mia, non la toccate...».