Bono al San Carlo di Napoli stasera: le hit degli U2 tra monologhi e confessioni

Telefoni vietati e dress code elegante

Bono Vox
Bono Vox
di Federico Vacalebre
Sabato 13 Maggio 2023, 07:31 - Ultimo agg. 15:33
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Iniziamo dalla fine, almeno quella annunciata, prevista, praticata finora da Bono nel suo tour di «Stories of surrender», nato sulla falsariga di Surrender, librone autobiografico pubblicato in Italia da Mondadori. «40 canzoni, una storia», dice il sottotitolo, ma in quell’elenco manca proprio la canzone scelta per chiudere il sipario: antica, napoletana, internazionale, composta nel 1894 da Ernesto De Curtis su parole del fratello Giambattista. Certo al San Carlo stasera «Torna a Surriento» suonerà anche come un omaggio alla città ed alla sua canzone, ma...

Ma c’è dietro una storia, e, per una volta, non è quella che parla del ministro Zanardelli e di un ufficio postale che non c’era, né quella che porta ad Elvis Presley ed alla celeberrima versione americana, toh intitolata «Surrender», che nel 1961 prepararono Doc Pomus e Mort Shuman. Mister Vox finora l’ha sempre intonata in napoletano, sia pur maccheronico. E il suo modello non è il re del rock and roll, e, almeno per una volta, nemmeno l’amico rimpianto Pavarotti, ma Brendan Robert Hewson, suo padre. «Con il suo falsetto riusciva ad aprire un cuore come un uovo alla coque», scrive il rocker: «Era un ottimo tenore e una volta mi disse che io ero “un baritono che si crede un tenore”.

Parole umilianti ma decisamente azzeccate».

Da baritono che non si crede più un tenore, ma lo diventa ogni volta che canta per il genitore, l’uomo di Dublino è entrato ieri al San Carlo per una prova (videoripresa, non si sa mai) e si è lasciato portare nel sogno di ogni tenore o baritono che dir si voglia, tra gli ori, il velluto e gli stucchi del teatro più antico e bello. Chissà se gli hanno detto del pasticciaccio brutto Lissner/Fuortes, o della leggenda dei fischi a Caruso o di quelle volte di big Luciano sul palco partenopeo.

 

Lui, nel tragitto tra il camerino e il palco, ha ripensato a quella canzone che gli capitava di dividere con il padre, nella Sorrento lounge - pure il nome! - del Finnegan, il pub preferito dei due. A quella volta che papà, Garvin Evans (il padre di David Howell Evans, alias The Edge, mitico chitarrista degli U2) e Pavarotti intonarono «Happy birthay» per Anthea, la moglie di Brian Eno. «Siamo i tre tenori, o sbaglio? ... Noi non freghiamo il pubblico sul do di petto?», scherzò Hewson senior.

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La resa («Surrender») del titolo è forse un modo di far pace con il genitore, di chiudere con un affetto/dissidio che ha lasciato il segno. Quasi quanto «Torna a Surriento», finora atto conclusivo di una scaletta ricca di monologhi, racconti, confessioni a cuore aperto, e, certo, anche canzoni.

Sul palco non ci sono gli U2 ma la violoncellista Kate Ellis, la tastierista e vocalist Gemma Doherty e il tastierista e percussionista Jacknife Lee. Come «City of blinding lights» e «Vertigo», «I will follow» e «Pride (In the name of love)», «Where the Streets have no name» e «Desire» a dar retta alla set list del concerto newyorkese del 9 maggio al Beacon theatre dove in platea c’erano Bill e Hillary Clinton, Jimmy Iovine, Tom Hanks, Michael Stipe, Jann Wenner .

Ma, con tutto il rispetto per la sala della Grande Mela... il San Carlo è tutta un’altra storia, Bono potrebbe inventarsi qualsiasi cosa, non a caso ha scritto agli acquirenti (a caro prezzo) del biglietto di vestirsi eleganti, di scuro, come merita una serata di gala. In molti gli daranno retta. Per poi godersi la storia di un ribelle cattolico, di un punk irlandese, di com’è nata una delle band più celebrate della storia del rock, della svolta da attivista militante, degli incontri che hanno segnato la vita all’uomo che sa che «L’opera è sempre dietro l’angolo». Soprattutto stanotte, soprattutto al San Carlo.

Ieri, intanto, al termine delle prove, ha ricevuto dal sindaco Manfredi la medaglia della città campione d’Italia. Peccato non avesse di nuovo la sciarpa del Napoli al collo.

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