Centro produzione Rai, Pinto saluta:De Maio in pole per la successione

Centro produzione Rai, Pinto saluta:De Maio in pole per la successione
di Luciano Giannini
Sabato 20 Luglio 2019, 09:00 - Ultimo agg. 18:00
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Nell'Auditorium affollato lo accolgono come una star di Made in Sud. Per lui hanno organizzato il commiato che si concede a un caro amico, non a un capo: buffet, elogi pubblici, standing ovation; e un videoclip sulle note di Pippo non lo sa, con testo riveduto, che spiritosamente lo celebra. In altre immagini Baudo, la Clerici, Arbore, Salemme augurano fortuna a Francesco Pinto. Il 31 luglio il direttore del Centro di produzione Rai andrà in pensione.
 
E perché parlarne? Per molte ragioni, più una: l'ambasciata della tv pubblica in viale Marconi, a Fuorigrotta, è la maggiore fabbrica industriale e culturale della città. Per lui, Pinto, programmista-regista, direttore di Raitre e, poi, della fabbrica di tv, l'addio è un'occasione. Per ripercorrere i 18 anni vissuti a dirigerla. Diceva Roosevelt: «Il leader guida, il capo dirige». Pinto ha guidato. L'affetto dei 400 dipendenti lo prova.

Torna al passato il direttore: «Al '95-'96, quando Celli, capo del personale nella Rai dei professori, ci riunì nello Studio 2 e annunciò: Ragazzi, si chiude. E noi? «Emigrerete. Storia già sentita». Dimenticava, Celli, che si rivolgeva «a una razza antica di marinai adusi alle tempeste». E i marinai s'industriarono, «perché nessuno può decidere il nostro destino». A quei tempi unica produzione a resistere era «Check up», protetta da Biagio Agnes come un padre fa col figlio. Fortuna volle che Viale Mazzini assegnasse a Napoli la nuova creatura di Minoli, la soap «Un posto al sole». Pinto: «Abbiamo difeso la fabbrica con passione e cazzimma». Aneddoti: «In una delle prime scene i dirigenti della Grundy pretesero un cane grosso, nero e cattivo. Noi dicevamo sempre sì. Ne trovammo uno grande, buono e bianco. Lo dipingemmo, vernice non tossica, e lo portammo sul set. Ma Un posto al sole, quel giorno, si contraddisse. Piovve. E il cane cominciò a colare». Ancora: «Un direttore generale si palesò all'improvviso per una ispezione. Ma una spia ci avvisò, e quel giorno un operaio è rimasto a martellare un chiodo per 40 minuti aspettando che quello scendesse in falegnameria». Eppure a Napoli si lavorava. E si lavora. «Oggi questa è la migliore fabbrica della Rai, e voi i suoi uomini migliori», sentenzia il direttore. Altra crisi 15 anni fa. La Lega al potere dirottò i nuovi programmi a Milano: «E io ristrutturai l'Auditorium. Chiesi i soldi all'azienda. No. Dovevano restaurare quello di Torino. Il governatore Bassolino mi concesse un milione di euro. In cambio noi ospitammo gratis, per tre anni, la stagione sinfonica del San Carlo, che era in ristrutturazione. Per Torino la Rai spese sette milioni e quattro anni di lavoro. Noi, con uno, completammo l'opera in sette mesi. Telefonai a Torino: che poltrone avete montato? Risposta: Frau, 450 euro ognuna. Io: Mi mandate una foto?. Trovai un artigiano che me le fece, identiche, per 80». Oggi il centro Rai di Napoli non è più considerato una zavorra: «È appetito dall'azienda e dalla politica. Ora, a proposito del mio successore, se la fabbrica funziona bene, mi sembra logico preferire una soluzione interna; chi questa fabbrica già ben conosce in tutti i meccanismi ed è amato dai dipendenti. Se, invece, a Roma pensano il contrario, soltanto allora potrebbe arrivare qualcun altro». Pinto si riferisce alle insidie che si annidano dietro ogni cambio al vertice. L' esterno è Adriano De Maio, autore e dirigente di Raiuno, appoggiato da Cinque Stelle; l'interno Antonio Parlati, vice di Pinto, sostenuto dai 400 marinai. Vincerà la politica?
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