Lockdown a Napoli, cinema e teatri fermi da un anno: «Ci arrendiamo»

Lockdown a Napoli, cinema e teatri fermi da un anno: «Ci arrendiamo»
di Giovanni Chianelli
Venerdì 12 Marzo 2021, 00:01 - Ultimo agg. 08:34
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Per alcuni piccoli teatri e cinema di vicinato napoletani, la fine è già una realtà: dell’Acacia, da tempo si dice che diventerà un parcheggio, mentre lo Start, presidio del teatro d’autore del centro storico, a fine aprile chiuderà, non potendo più contare sul supporto fondamentale delle scuole e dei corsi di formazione. Un anno di Covid non ha graziato chi contava sulla presenza del pubblico dal vivo e di chi frequentava i corsi dato che, come dice Carlo Cerciello dell’Elicantropo, «è impossibile insegnare teatro in Dad». Qualcuno prova a inscenare soluzioni: Luigi Grispello, per l’Agis, con idee per le sale d’essai e rilancio della deducibilità per le spese culturali, o Lello Serao, che rappresenta l’Artec, l’associazione degli imprenditori teatrali campani, con il progetto «(H)eartH» sulle residenze teatrali, che anche durante la pandemia ha provato a continuare a stipendiare attori e maestranze per le produzioni. Ma la previsione è unica da parte di entrambi i comparti: «Non sarà più come prima». La situazione è grave per tutte le sale. 

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Per i teatri, come per i cinema: «Tutti i teatri privati stanno soffrendo», dice Serao. «Ma anche chi può contare sul Fondo unico per lo spettacolo non se la passa bene, dato che l’80% di ciò che arriva deve essere restituito».

L’ipotetica ripartenza è un’incognita: «Sono vari i problemi. Prima di tutto, i tempi. Secondo, come ripartire, con quali produzioni, dato che nella maggior parte dei casi non è stato possibile realizzarle. E come riattivare quelle entrate che ci davano respiro, i corsi e le ospitalità per le prove», aggiunge Serao. Il progetto «(H)earth», in collaborazione con Interno 5, ha provato a offrire un esempio: mettendo insieme spazi e compagnie, ha realizzato residenze diffuse e produzioni di spettacoli per la ripresa, ha messo a lavoro più di 100 persone, e molti teatri hanno potuto permettersi per qualche tempo il pagamento di fitti e bollette.

Ma il futuro resta incerto, anche per via di un aspetto che pochi prendono in considerazione: «Che tipo di drammaturgia fare, quando torneremo a lavoro? Una leggera, dato che non si vuole più pensare alle sciagure, o una profonda che rifletta sui drammi del nostro tempo?». Intanto, un dato è sicuro: «Nessuno si illuda che sarà possibile tornare a prima. Qualcuno abbandonerà questo lavoro, molti già lo fanno, si convertono ad altre attività». Serao sottolinea, comunque, che non va alimentato lo scontro tra maestranze e imprese: «Se ne usciamo, lo facciamo tutti insieme». 

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Elicantropo 

«La condizione è di chiusura totale: sia come spazio che come scuola di formazione», dice Carlo Cerciello in riferimento al suo teatro, l’Elicantropo. Lo spazio di vico Gerolomini programma corsi molto frequentati che però, in questo momento, sono impossibili da mandare avanti: «La formazione teatrale non si può fare a distanza. Abbiamo aperto e chiuso già due volte. Impossibile fare previsioni fino a quando l’epidemia non sarà sconfitta dai vaccini», dice. Poi, chiede polemicamente: «Come mai non sono stati previsti prima tamponi facilitati e oggi vaccini prioritari per chi insegna teatro? In fondo, anche noi facciamo formazione». Come gli insegnanti di scuola e i professori universitari già chiamati per la profilassi in Campania.

Metropolitan 

«La chiusura ha causato grandi danni ai cinema e alle società di distribuzione che registrano perdite drammatiche». A parlare delle sale cinematografiche sono Roberta Starace e Giuseppe Caccavale, proprietari del Metropolitan. È un anno esatto che il cinema multisala di via Chiaia è chiuso, non riaprì neanche tra maggio e ottobre scorso, dopo il primo lockdown. «Con noi ci sono quattordici dipendenti in cassa integrazione, è una situazione tremenda, è come una famiglia che va a pezzi». Sulla riapertura del 27 marzo sono scettici: «Con la zona rossa? Impossibile, una contraddizione in termini. Ripartiremo soltanto quando la pandemia sarà sconfitta».

Totò 

«Da un anno abbiamo smesso di vivere: essere teatranti è dare la vita per la scena, non lo si fa per lucrare». Gaetano Liguori, del Teatro Totò, dice che, con 2000 abbonati e 300 ragazzi che seguivano la scuola di formazione, fino al 2019 il teatro viveva dignitosamente. «Ora no. Non abbiamo avuto ristori dal governo, se non fosse per la legge 6 regionale che qualche sostegno ce lo dà sarebbe la fine». Ma il futuro non è roseo: «Fa ridere l’ipotesi di riaprire il 27 marzo, con quale pubblico?». Mentre la prossima stagione, dice, «potrebbe riprendere d’estate per rieducare gli spettatori al teatro e poi, da ottobre, con una versione ridotta del programma: bisogna trovare compagnie che si accontentino di cachet ridotti».

Start 

Tra un mese chiuderà i battenti lo Start di via San Biagio dei librai, spazio di sperimentazione teatrale che negli ultimi anni ha portato a Napoli i migliori nomi della scena d’autore nazionale. I motivi: «Non potevamo più pagare il fitto. Per l’assenza di pubblico, e perché non potevamo più fare corsi e dare la sala in affitto per le prove», dice Hilenia De Falco, direttrice dell’associazione Interno 5 che fondò la sala nel 2009, completamente autofinanziata e che non ha avuto ristori per la pandemia. «Senza pubblico non c’è possibilità di vita». La De Falco è tra i creatori del progetto «(H)eartH» sulla sopravvivenza dei piccoli teatri in crisi: «Non siamo riusciti a salvare il nostro spazio, proviamo a salvare gli altri».

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