Luciano De Crescenzo, tutta la sua filosofia nel libro in regalo con il Mattino in edicola venerdì

Luciano De Crescenzo, tutta la sua filosofia nel libro in regalo con il Mattino in edicola venerdì
di Generoso Picone
Mercoledì 14 Luglio 2021, 12:12 - Ultimo agg. 15 Luglio, 08:31
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«Scusate, ma che è successo?». Chissà se in qualche corso universitario di Filosofia o di Psicologia sociale e, addirittura, di Psicanalisi si studia nel dettaglio della sua portata gnoseologica l'episodio del cavalluccio rosso. Chissà se quell'interrogativo a cui è chiamato a rispondere nel film «Così parlò Bellavista» il personaggio Riccardo Pazzaglia, con il suo giocattolone in mano nel mezzo della folla accorsa in mezzo alla strada dopo forse il tentato furto di un autoradio, è stato mai analizzato come il punto di accesso a un sistema di comprensione della realtà: insomma, nel valore teoretico che il suo autore avrebbe amato consegnare pur nella splendida confezione di un brano di assoluta e dissacrante comicità.

Luciano De Crescenzo aveva inserito la scena nel film del 1984 tratto dal suo omonimo libro d'esordio del 1977, sottotitolo Napoli, amore e libertà. Titolo, e filosofia, a cui si ispira Luciano De Crescenzo. Storie d'amore e libertà, il libro curato da Titta Fiore e Federico Vacalebre che dopodomani sarà in edicola gratis (soltanto in Campania) con «Il Mattino»: a due anni dalla morte una raccolta di suoi articoli pubblicati da questo quotidiano impreziosita da contributi, tra gli altri di Renzo Arbore, Marisa Laurito e Alessandro Siani e da un inedito dedicato a Renato Carosone. 

Quella del cavalluccio è una citazione più o meno evidente del «Rashomon» di Kurosawa, dove si narra della innata capacità che l'uomo ha di mentire agli altri e anche a se stesso, cioè della consuetudine a costruirsi una verità falsa, magari di comodo, puramente immaginifica, per salvare la propria reputazione. De Crescenzo usò il calco per dire della qualità eccelsa che specie i napoletani hanno di autorappresentarsi a uso e consumo della convenienza. Di mettersi in scena e interpretare se stessi sul palco del teatro dell'esistenza. «Scusate, ma che è successo?»: ognuno azzarda una tesi, ciò che ritiene sia accaduto o quanto pensi sia dovuto succedere.

Relativismo estremo: la realtà esiste soltanto se raccontata. Il mondo come volontà e rappresentazione, per dirla con Schopenhauer.

De Crescenzo, nel disincanto della sua Filosofia del Pressappoco tanto saggia ed esplicativa, l'altra faccia dell'animo ingegneristico alimentato dal suo maestro alla Federico II, il geniale matematico Caccioppoli sarebbe stato ben felice di aver fornito un simile contributo alla riflessione sulla vita. In fondo, la sua ambizione era di vedersi riconosciuto più che un posto nella garzantina della letteratura «Scusa, ma perché Benni ce l'ha e io no?» un ruolo nella pratica della divulgazione teoretica. Lo ottenne da morto, quando un filosofo del vaglio di Roberto Esposito ebbe a sottolineare la sua capacità di rispondere «a un carattere della nostra contemporaneità la caduta dei confini tra sapere ed esperienza vissuta» e di interpretare in maniera disinvolta, sorridente e dunque facile la possibilità di «trasportare le parole di un sapere alto come quello filosofico nella vita delle persone comuni». Di misurarsi con ironia, simpatia e spesso malinconia con il senso della vita, della morte, della felicità, del dolore; sdrammatizzando per alleggerire il peso di questa inquietudine e renderlo fruibile, addirittura piacevole, comunque sopportabile. 

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«Scusate, che è successo?». La domanda rimbalza all'altezza di un incrocio a croce uncinata e l'assembramento pare disegnare una traiettoria che riporta alla topografia della città disegnata anni prima da Giuseppe Marotta. Un nume tutelare di De Crescenzo la cui fedeltà gli valse l'accusa di aver fondato nel racconto di Napoli l'espressione è di Giancarlo Mazzacurati il canone del marottismo deteriore. Un terreno battuto da moltissimi altri, da cui però De Crescenzo si tenne distante proprio perché nello scarto dell'interrogativo non si fece travolgere da quella che Emma Giammattei definisce «variante ingannevole del realismo». Perché il mondo che De Crescenzo narra non è realtà originaria, ma aggiungerebbe Giammattei guardando a Juri Lotman «un sistema semiotico già secondo». Non autentico, ma appunto rappresentato. E allora ci si può giocare e la napoletanità e i suoi stereotipi di colore locale sono da smontare e rimontare nella forma di una commedia dell'arte: semplificandola fino a ridurla a un sorriso, per poi soffermarsi a capire che cosa essa nasconda utilizzando tutti gli insegnamenti che da Platone a Kant la filosofia ha regalato. La maniera per difendersi dalla seriosa e goffa deriva della napoletaneria.

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