Morto l'attore Sergio Solli, perché Napoli piange una delle sue maschere più autentiche

Ex parrucchiere conquistò il pubblico con sketch esilaranti ma anche con ruoli drammatici

Sergio Solli (a destra) con Benedetto Casillo in una scena di "Così parlò Bellavista"
Sergio Solli (a destra) con Benedetto Casillo in una scena di "Così parlò Bellavista"
Valentino Di Giacomodi Valentino Di Giacomo
Venerdì 3 Febbraio 2023, 13:44 - Ultimo agg. 4 Febbraio, 09:01
4 Minuti di Lettura

«'O monaco rattuso», «Oh Antistene, dammi piacere, accetta due iammarielli freschi», «la fame etiope che, vabbè, quella è famosa in tutto il mondo». Ognuno ha il proprio pezzo di Sergio Solli nel cuore, celebre come netturbino nei film bellavistiani di Luciano De Crescenzo. In realtà il primo mestiere di Solli, originario dei Quartieri Spagnoli, era quello di parrucchiere.

La sua attività teatrale nasce solo come un hobby. Fino a quando, con quei baffi neri e quel viso scavato che appare un marchio di fabbrica dei grandi attori partenopei, Solli non viene notato da Eduardo De Filippo. Impossibile per un napoletano non essere legato ai personaggi di un attore che forse avrebbe meritato assai più celebrazioni anche in vita. Il marito petulante che reclama un caffé in Natale in casa Cupiello, l'avido prestasoldi ne Il Contratto, lo strozzino ne Il Sindaco del Rione Sanità costretto dal boss ad intascare banconote invisibili. 

Quelle fossette e quei capelli impomatati li ha resi però celebri Luciano De Crescenzo. Sergio Solli ha riempito gli schermi del cinema negli anni '80 e poi, con il suo volto da caratterista, con gli smartphone e i pc anche i più giovani, grazie alla Rete, hanno potuto recuperare le sue battute memorabili recitate con una naturalezza in grado di far scomparire completamente la finzione e rendere quei personaggi, più che altro, persone della nostra famiglia.

Esilaranti tutti gli sketch con un altro fenomeno della scena teatrale partenopea come Benedetto Casillo. Attualissimo il dialogo se conviene allearsi con i russi o con gli americani: «Tanto noi sicuro la guerra la perdiamo e a noi ci fanno prigionieri».

Dietro quelle maschere tutto il fatalismo dei napoletani, ma anche la capacità di riuscire a ridere di tutto, di prendere la vita con leggerezza ed ironia: merce rara oggi.

 

Ed è così che anche tanti ragazzini, neppure nati quando i film di Solli venivano proiettati nei cinema, per scacciare via paure e malinconie, possono oggi vedere e rivedere all'infinioto qualche celebre scena di quei piccoli capolavori della cinematografia decrescenziana che ha preso cliché della strada per perpetuarli e trasformarli ancora nella Napoli che il mondo immagina, vuole vedere, ma chissà se esiste ancora. 

«Cavaliè - dice Saverio/Antistene in 32 dicembre - io in America ho fatto la fame, poi la vita è carogna e disgraziatamente me ne sono dovuto tornare in Italia».«Ma come sarebbe disgraziatamente? Tu in America non facevi la fame?». «Sì, ma facevo la fame americana però. Cavalié, quella una cosa è la fame americana e un'altra cosa è la fame italiana. Poi vabbè non parliamo della fame etiope che, vabbè, quella è famosa in tutto il mondo. Cavalié secondo me quando uno va in un Paese straniero, la prima cosa che dovrebbe chiedere pure a un passante o ad un vigile urbano é: "Scusate, ma in questo Paese che tipo di fame fate?"».

Eppure, al di là di ogni pregevole e macchiettistica rappresentazione di Solli, sarebbe una diminutio ricordarlo soltanto con le battute che ci hanno scaldato e ancora ci scaldano il cuore. Quel suo volto dagli occhi profondi è stato al servizio di registi che hanno conquistato il globo con i propri film: da Lina Wertmuller a Mario Martone fino a Marco Tullio Giordana.

La prima apparizione sul grande schermo è però con Lello Arena e Massimo Troisi in "No grazie il caffè mi rende nervoso" con quel mitomane nella cabina a gettoni che prova a fare una telefonata intimidatoria senza riuscirci: «Pronto Nicò, io te sparo, hai capito che te sparo», peccato che chiami sempre la sfortunatissima "Casa Signoriello". Condannato quasi sempre a fare il finto cattivo, un ruolo da vero cinico e sfruttatore di adolescenti lo ricopre in quel film-gioiellino tratto dal romanzo di Diego De Silva, "Certi bambini": Achille Casaluce.

Noi, però, saremo sempre legati a quell'arcinapoletano che vive in ognuno di noi attraverso uno schermo. Una Napoli in grado di sorridere ad ogni malinconia perché, in fondo, anche in questo mondo scapestrato che viviamo oggi, pure se scoppiasse la guerra atomica, ci metteremmo a vendere il rifugio antinucleare e l'ombrellino antiatomico. 

«Del resto dovete sapere che la bomba atomica è piena di curve, gli atomi arrivati nella curva si tozzano l'uno con l'altro e fanno una botta». Ciao Sergio, grazie per questi sorrisi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA