Pompei stupisce ancora: ecco il blu egizio lasciato dal vasaio in fuga

Pompei stupisce ancora: ecco il blu egizio lasciato dal vasaio in fuga
di Susy Malafronte
Sabato 11 Dicembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 12 Dicembre, 08:02
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Sono frammenti del «blu egizio», il colore utilizzato per realizzare il famoso vaso blu degli Scavi di Pompei - conservato al Museo Nazionale Archeologico di Napoli e in questo periodo in giro per il mondo tra una mostra e l’altra - quelli riportati alla luce intatti, dopo duemila anni, durante i lavori di restauro della casa della Biblioteca. Un artigiano stava lavorando alla realizzazione di un nuovo vaso, quando venne sorpreso dall’eruzione del Vesuvio. Questa l’ipotesi degli archeologi impegnati nella campagna di scavo.

Per sfuggire alla morte, l’uomo scappò in fretta e furia, lasciando il materiale e gli strumenti nella casa che stava abbellendo con le sue creazioni. Come se il tempo si fosse fermato, sono stati ritrovati intatti un vaso in rame (o in bronzo) e un disco di pietra, base di un piccolo mortaio, che conserva ancora un piccolo cumulo di frammenti di pasta vitrea pronti per la molitura che era necessaria alla produzione del famoso pigmento «blu egizio». Pigmento con cui fu realizzato il meraviglioso vaso blu scoperto nel 1837 in una nicchia della piccola tomba a camera prospiciente la villa delle «Colonne a Mosaico». 

Eppure la casa della Biblioteca, pur non essendo mai stata aperta al pubblico, era già stata oggetto di scavo. Nessuno, però, aveva fatto emergere, prima di qualche giorno fa, i nuovi tesori dalle ceneri. Così dal cantiere di messa in sicurezza dell’Insula Occidentalis sono emerse altre testimonianze della vita quotidiana dei pompeiani del 79 dopo Cristo. I reperti - un disco di pietra lavorato che formava la base per un piccolo mortaio, un vaso di bronzo o di rame e un’olla - testimoniano dei lavori che dovevano essere in corso nella domus della Biblioteca per riparare i danni dello sciame sismico del 62 dopo Cristo. «Oggetti semplici ma raffinati - racconta chi ha avuto la fortuna di stringere la storia tra le mani - con ogni evidenza abbandonati dall’artigiano fuggito per l’eruzione accanto alla soglia di un ambiente». All’interno dell’olla in rame è stato trovato un piccolo crogiuolo di ferro che, probabilmente, era utilizzato per la cottura degli ossidi nel processo di produzione dei pigmenti. Tutti i reperti sono stati ora trasferiti ai laboratori del Parco Archeologico di Pompei, su disposizione del direttore generale Gabriel Zuchtriegel, dove si ptrocederà alle analisi dei loro contenuti.

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La casa della Biblioteca fu scavata per la prima volta nel 1759 in una zona allora denominata Masseria Irace (nella topografia pompeiana individuata come Regio VI, Insula 17, Civico 41). A battezzarla così fu lo studioso Volker Michael Strocka, che identificò con quella funzione uno degli ambienti interni che ancora oggi reca uno splendido affresco della parete centrale con la raffigurazione del poeta ditirambico greco Filosseno di Citera, vissuto nella seconda metà del V secolo avanti Cristo. Gli apparati decorativi della domus furono oggetto, negli anni, di numerose sottrazioni con lo stacco di affreschi e mosaici oggi custoditi al Museo Archeologico di Napoli. Dopo il bombardamento del 1943, e il parziale reinterro, la casa fu di nuovo oggetto di scavi solo parziali nel 1970, durante i lavori di restauro dell’adiacente Casa del Bracciale d’Oro.

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