Caro prezzi a Napoli: «Molti speculano, una botte di vino costa il 25% in più»

Caro prezzi a Napoli: «Molti speculano, una botte di vino costa il 25% in più»
di Gennaro Di Biase
Domenica 21 Giugno 2020, 09:30 - Ultimo agg. 14:10
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Secondo i dati dell''Unione Nazionale Consumatori, la Campania si piazza al terzo posto nella classifica italiana del rincaro del cibo nel post-Covid, con un aumento complessivo del «3,4%». Tra le città Napoli è undicesima come livello di rincari, con un più «3,3%», preceduta da Roma ma decisamente al di sopra della media nazionale. Abbiamo cercato di spiegare questi numeri facendo un viaggio a Campagna Amica, il nuovo mercato a Km 0 aperto a Fuorigrotta in via Guidetti dal 18 giugno. «I mediatori campani del settore hanno speculato sui costi di distribuzione», dicono in coro produttori alimentari e la stessa Coldiretti. «Un mercato a Km 0 come questo dice Salvatore Loffreda, direttore di Coldiretti Campania serve proprio a evitare tutti quei passaggi nella distribuzione e nel trasporto che hanno fatto lievitare i prezzi nei grandi supermercati e non solo».
 

 

L'economia glocal, prospettata durante il lockdown per rendere autosufficienti i territori e far fronte ai limiti strutturali della globalizzazione, fa fatica a emergere. La gente non manca, nel nuovo mercato di via Guidetti che raccoglie prodotti tipici da tutta la regione appena arrivati dalla campagna. Ma la sensazione, parlando con produttori e agricoltori del mercato di Fuorigrotta, è che i problemi negli affari dei mesi scorsi siamo tutt'altro risolti. «Stiamo cercando di sobbarcarci tutte le nuove spese dice Carmine Di Cerbo, presidente della cooperativa Genuino ma produrre una botte di vino rispetto al pre-Covid mi costa almeno il 25% in più». «La speculazione c'è stata aggiunge Loffreda specialmente perché tra il produttore e il consumatore ci sono almeno 4 o 5 passaggi: il mediatore in campagna, il mercato generale, la cui commissione poi vende il prodotto a un commerciante, e infine lo scaffale. Il mediatore non ha un rischio di impresa, non si interessa del prezzo e quello che riesce a spuntare incassa. In Campania è difficile controllare i mediatori: manca una contrattualistica per gli agricoltori, che subiscono le telefonate di 4 o 5 commissionari prima di lasciare il prodotto al mercato».
 

Il cibo è stato uno dei pochi beni stravenduti durante la quarantena, ma ciò non ne ha impedito il rincaro, come nell'ortofrutta. Secondo l'Unione Nazionale Consumatori, il rincaro medio italiano è del 2,6%, con una maggior spesa annua di 145 euro a famiglia. «Le disparità così ampie tra una città e l'altra, da +6,4% a +0,2% - afferma Massimiliano Dona, presidente dell'Unc - possono avere varie motivazioni, ma la spiegazione più probabile è che, approfittando della ridotta mobilità del consumatore e, quindi, della minore possibilità di scelta, molti esercizi abbiano alzato i prezzi. Questo è stato maggiormente possibile nelle città dove c'è minore concorrenza e non ci sono abbastanza forme distributive. Non è un caso se l'Antitrust proprio sui prezzi alimentari ha aperto un'indagine preistruttoria». «Tante cose sono cambiate nell'alimentare - osserva Francesco Monti, pescatore - Non ci siamo mai fermati, ma purtroppo è come una catena in cui sono venuti a mancare degli anelli: c'è stata speculazione tra i mediatori, specialmente nei costi legati alla distribuzione del prodotto, aumentati anche del 60%. Non è poco, e il produttore non c'entra con questi aumenti». «Siamo riusciti a non buttare latte nel lokcdown racconta Vincenzo D'Amore, del caseificio Masseria Fontana Ramata ma i prezzi sono calati del 40%, visto il calo della domanda dovuto alla chiusura di ristoranti e pizzerie.
Dalla crisi si esce provando a modificare le cose: avvicinando il produttore al cliente». 

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