Fabbriche chiuse o in crisi, la grande industria in fuga da Napoli

Fabbriche chiuse o in crisi, la grande industria in fuga da Napoli
di Valerio Iuliano
Venerdì 4 Ottobre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 15:18
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«Abbiamo sottovalutato per tanti anni gli effetti della crisi ed ora i risultati sono evidenti. Ovvero la desertificazione». Giovanni Sgambati, leader della Uil Campania, sintetizza in poche parole un fenomeno che caratterizza la realtà odierna di Napoli. La desertificazione industriale dell'intera città- con l'abbandono di quelli che una volta erano i poli produttivi, da Bagnoli all'area Est - è un dato oggettivo e forse irrimediabile.
 
La crisi di Whirlpool - i cui effetti sono ancora imprevedibili - e quella più recente di Mecfond hanno aggravato ulteriormente un processo irreversibile di declino. «Basti pensare - riprende Sgambati - che all'inizio degli anni 90 a Napoli c'erano circa 30mila metalmeccanici, concentrati soprattutto a Bagnoli e nella zona industriale. Oggi ne contiamo, a grandi linee, poco più di duemila. Mi riferisco ai circa 1200 di Hitachi, ai 420 di Whirlpool, ai 230 di Mecfond ed ai circa 500 di Atitech, ai circa 280 di Magnaghi. In meno di 30 anni i lavoratori della manifattura si sono ridotti a meno del 10%, rispetto agli anni 90. L'industria pesante è stata completamente abbandonata con il caso clamoroso di Bagnoli, ma anche con altri esempi. La presenza manifatturiera in città è ridotta ai minimi termini».

La zona orientale di Napoli rispecchia fedelmente quella che è una tendenza sempre più accentuata. La probabile riconversione di Whirlpool rischia di mettere in ginocchio quello che era, fino a poco tempo fa, una delle pochissime aree produttive. «La zona industriale di Napoli era solo quella di via Argine, dove c'è Whirlpool - sottolinea Biagio Trapani, segretario generale di Fim Cisl- e di fronte c'è l'Hitachi, l'unica fabbrica che attualmente funziona, nata da Ansaldo Sts e Ansaldo Trasporti. Se andasse via Whirlpool rimarrebbe solo Hitachi, dopodiché in città non rimane quasi più nulla». Restano le industrie del settore aeronautico con la Magnaghi a via Galileo Ferraris, l'Atitech a Capodichino. Se si provasse a segnare su una mappa gli insediamenti industriali in città si troverebbero dei poli produttivi solo nella zona orientale.

Poi solo piccole aziende. «A fronte dell'abbandono dell'industria pesante - riprende Sgambati - e senza più la manifattura non c'è stato nemmeno un processo di ammodernamento della città con l'avanzata del terziario. Siamo tutti responsabili di questo declino, a partire dalle classi dirigenti, fino a tutte le altre categorie. Compresi noi dei sindacati, che comunque siamo stati molto isolati. Negli ultimi anni ci sono state solo due eccezioni al declino. Mi riferisco alla trasformazione dell'ex Cirio nel polo universitario di San Giovanni a Teduccio, con Apple, ed alla realizzazione dell'Ospedale del Mare. Non possiamo più illuderci. La verità è che Napoli non è un fattore attrattivo. Il limite principale è l'incapacità di fare squadra». La progressiva scomparsa dell'industria investe tutta l'area metropolitana di Napoli. «Negli ultimi 10 anni l'area metropolitana ha perso circa il 40% della sua capacità produttiva», sottolinea il segretario della Cgil di Napoli Walter Schiavella, che invoca «un intervento straordinario per Napoli nella prossima Legge di Bilancio». Un intervento che tenga conto «delle priorità, a partire dalla necessità di sbloccare gli investimenti in infrastrutture, di attivare le Zes e sostenere i settori innovativi con solide politiche industriali». Sono tante le industrie dismesse, tra queste si ricorda lo stabilimento Peroni di Miano ora trasformato in un centro commerciale. Quello dei settori innovativi e degli investimenti in nuove tecnologie è un argomento che torna utile riferendosi ad Hitachi, un insediamento produttivo solido nell'area orientale della città. Mentre la crisi di Mecfond rimanda alla necessità di un sostegno da parte delle istituzioni. E, se la manifattura è quasi scomparsa, i problemi non mancano nel settore delle telecomunicazioni. «Una parte dei lavoratori di Almaviva - spiega il segretario di Uilcom Uil Massimo Taglialatela - passerà a Comdata con il trasferimento di 600 lavoratori a Marcianise, altri 200 invece resteranno a Napoli».

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