I ricordi di Monica Sarnelli:
«Gli show di Natale
pensando a Mina»

I ricordi di Monica Sarnelli: «Gli show di Natale pensando a Mina»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 15 Dicembre 2018, 11:00 - Ultimo agg. 12 Gennaio, 20:37
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La sua passione era quella di imitare Mina. Gorgheggi, look, trucco e pure i capelli: una volta castana, l'altra bionda platino, una volta riccia stile afro, l'altra lisci spaghetto. Il mito, la cantante per eccellenza, la donna che avrebbe voluto essere e che tutta la vita ha sperato di incontrare. Fino a quando, un giorno, non l'ha incontrata davvero, e per giunta non per caso. Roba da svenire dalla gioia, vederla lì, seduta in prima fila, mentre mi ascoltava cantare in compagnia di Andrea Lo Vecchio, il produttore discografico di tutte e due - Monica Sarnelli ancora si emoziona quando ne parla. 



Mina al suo concerto?
«In realtà, non era proprio un concerto. Provavo, mentre mi scattavano delle foto. A un certo punto la vidi, mi scrutava dalla platea, ero convinta di sbagliarmi, ma poi mi accorsi che c'era anche Andrea. Oddio è Mina pensai, e mi avvicinai».

Grande emozione.
«Enorme».

Che cosa ci faceva lì?
«Lo Vecchio le aveva parlato molto bene di me, lei si era incuriosita e volle conoscermi. Chiacchierammo un po', e alla fine mi disse Merda, merda, merda. Io manco sapevo che cosa volesse dire, allora: avevo quindici anni e nessuno mi aveva spiegato che, per quanto paradossale possa apparire, è l'augurio di buona fortuna che attori e cantanti si fanno prima di ogni spettacolo». 

A 15 anni già cantava?
«Per la verità, molto prima. La musica è sempre stata la mia grande passione. Avevo cinque anni e mi esibivo per amici e parenti; veri e propri spettacolini che mettevo in scena come una professionista».

Cantava anche a scuola?
«Caspita. Le insegnanti a Natale mi portavano in giro per le classi, e ogni volta era un piccolo show: mi piazzavo al centro dell'aula e via con Jingle Bells, White Christmas, We Wish You a Merry Christmas... le sapevo tutte e le cantavo senza musica. Ma lo stupore generale era la mia totale assenza di imbarazzo».

Nessuna inibizione?
«Mi sentivo già una cantante, sapevo che quello sarebbe stato il mio mestiere e il pubblico non mi metteva alcuna ansia; anzi, mi dava emozione e mi caricava di entusiasmo. In ogni caso, la vera svolta avvenne quando con la mia famiglia, da piazza del Gesù, ci trasferimmo ad abitare ai Colli Aminei, dove iniziai a frequentare la parrocchia dei rogazionisti».

Dalla passione per il canto a quella per la chiesa?
«Ci divertivamo moltissimo. I preti erano davvero bravi e svolgevano davvero una funzione sociale. Partite di calcetto, concerti, commedie: ogni pomeriggio si organizzava qualcosa per noi ragazzini del quartiere, con l'obiettivo di tenerci occupati facendoci fare quello che ci piaceva».

Lei sempre in prima linea, naturalmente.
«E certo. Diventai una piccola star, partecipavo a tutti gli spettacoli insieme con i miei fratelli e le amiche. Che bel periodo, un'infanzia fantastica». 

E la scuola, a parte gli show natalizi?
«Tra un concertino e l'altro, non è che mi restasse troppo tempo per studiare. Ai libri ho sempre preferito la musica, studiavo più volentieri il pianoforte della matematica. Dopo il diploma, mollai; sapevo che la mia strada sarebbe stata un'altra, lo capii già nel 1981, quando partecipai al mio primo concorso». 

Giovanissima.
«Avevo poco più di 15 anni. Su un settimanale di musica lessi di questa gara per cantanti che si teneva a Castellana Grotte, in provincia di Bari. All'epoca, ero anche autrice dei miei brani, raccolsi tutto quello che avevo prodotto e mi iscrissi. Dopo qualche giorno, mi chiamarono per dirmi che mi avevano scelto. Vinsi il premio della critica e quasi subito arrivò il contratto con la Emy a Milano. Non potevo crederci».

Grande soddisfazione.
«Castellana rappresentò il mio trampolino di lancio. In quell'occasione, conobbi quello che poi sarebbe diventato il mio produttore, mi volle con lui e fu così che registrai il primo 45 giri».

E i suoi genitori? Soddisfatti della figlia cantante?
«Mi hanno sempre sostenuta, consapevoli che la mia era una passione vera alla quale difficilmente avrei rinunciato. Su un punto però furono chiari sin dall'inizio».

Quale?
«Non avrei mai dovuto scendere a compromessi. Sapevano che il mondo nel quale avevo scelto di vivere era complesso e per nessuna ragione - mi dissero - dovevo venir meno ai miei principi morali e professionali. In effetti, nel corso degli anni, un po' di cose strane mi sono capitate, ma ogni volta che ho sentito puzza di bruciato, me la sono sempre data a gambe, anche a costo di penalizzare il lavoro».

A proposito di lavoro, è appena uscito un nuovo singolo.
«Tu sì meglio 'e me - un'anticipazione del prossimo album di inediti che uscirà in primavera. È un brano che parla di amore e dolore, il testo è di Bruno Lanza e nasce dalla condivisione di esperienze e impressioni comuni. È un messaggio d'amore, dedicato a tutte quelle persone che, pur volendosi bene, vivono un momento di incompatibilità: genitori e figli, sorelle, amiche... Un bel testo musicato da Sally Monetti e Federico Spagnoli».

Monetti lo stilista?
«Proprio lui. Sally ha la musica nel sangue, come l'aveva suo padre Eddy. Nel negozio di Napoli ci ha messo addirittura un pianoforte e scrive pezzi straordinari». 

Torniamo alla sua gioventù. Come si divertiva la Sarnelli, da ragazza?
«Andando ai concerti e frequentando locali dove si faceva musica manco a dirlo. Ricordo le serate al City Hall di Dino Luglio, c'erano i fratelli Bennato, Giorgio Verdelli... ci divertivamo tanto. Fu in una di quelle serate che incontrai Dario, il mio futuro marito. Io cantavo e lui suonava il sassofono, unimmo musica e famiglia, eravamo sempre in giro a suonare, e mettemmo su anche un gruppo: The Torchio's band. Amavamo Totò e pensammo di tradurre in inglese La banda del torchio».

Band di successo?
«Andavamo forte. Suonavamo cover nei locali della città, giravamo anche una trasmissione tv di buon successo. Poi mi chiamò Antonio Annona e mi propose la sigla di Un posto al sole. Quando l'ho cantata per la prima volta, aspettavo mio figlio».

È nato con la musica nel sangue, insomma.
«Sia lui che la sorella cantano molto bene e hanno una innata attitudine musicale. Sono certa che, a cambiare prima o poi le loro vite, saranno proprio le canzoni».
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