Non sono bastati giorni di lotte intestine con il governo e l’intervento di mediazione del presidente Sergio Mattarella, le regioni non ci stanno e boicottano il Dpcm in rampa di lancio. Siccome la pandemia stia colpendo in maniera generale tutto il territorio nazionale, esse «ribadiscono la richiesta di univoche misure nazionali ed, in via integrativa, provvedimenti più restrittivi di livello regionale e locale. In una lettera a Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Francesco Boccia, il presidente della Conferenza delle regioni Stefano Bonaccini esprime «forti preoccupazioni» per quanto regolato dagli articoli che introducono misure restrittive per la fascia arancione art 1 bis («scenario di elevata gravità e da un livello di rischio alto) riguardante Veneto Puglia e Campania dove è vietata la mobilità regionale, spostarsi tra comuni, chiusure di bar, ristoranti e asporto fino alle 22; e per la fascia rossa art. 1 ter («scenario di massima gravità e da un livello di rischio alto») riguardante Piemonte, Valle d’Aosta Lombardia, Trentino, Calabria: chiusura di tutti i negozi (tranne alimentari, tabacchi e farmacie), didattica online per le medie, chiusure di parrucchieri ed estetisti, chiusure delle scuole superiori e università.
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Per Bonaccini questi due articoli «comprimono ed esautorano il ruolo e i compiti delle Regioni e delle Province autonome», attribuendo al Governo «ogni scelta e decisione sulla base delle valutazioni svolte dagli organismi tecnici».
Ancora: «misure normative e adeguate risorse finanziarie per riconoscere ed estendere i congedi parentali per tutti i lavoratori dipendenti».
Tra gli altri punti contestati c’è la richiesta di chiarimenti su «chi può e deve disporre la chiusura al pubblico di strade e piazze nei centri urbani», la richiesta di «prevedere forme di flessibilità per la didattica in presenza per le scuole primarie e secondarie di primo grado» e di allargare i negozi da tenere aperti, anche quelli di igiene personale e della casa, di cibi per animali e cartoleria (per le scuole)».
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