Appalti ai Casalesi per i voti indagato Graziano, leader pd

Appalti ai Casalesi per i voti indagato Graziano, leader pd
di Leandro Del Gaudio
Martedì 26 Aprile 2016, 23:34 - Ultimo agg. 28 Aprile, 23:13
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Una mazzetta da 70mila euro per la realizzazione della casa della legalità, una tangente versata da imprenditori a politici e amministratori di Santa Maria Capua Vetere in cambio di un appalto milionario. Ma non è tutto. C’è dell’altro nell’ultima inchiesta del pool anticamorra di Napoli, che punta i riflettori anche sul ruolo del presidente Pd campano Nicola Graziano. Consigliere regionale ed ex parlamentare (in passato in forza alla commissione ecomafia), Graziano è accusato di aver goduto del sostegno elettorale addirittura del clan Zagaria, almeno per conto dell’imprenditore casertano ieri finito in cella Alessandro Zagaria.

Concorso esterno in associazione camorristica è l’accusa mossa dalla Procura di Napoli, a carico di Graziano, nell’ambito di una più ampia inchiesta su appalti e mazzette. Perquisito ieri mattina a casa e nei suoi uffici, il leader regionale Pd finisce sotto i riflettori nell’ambito di un’inchiesta culminata ieri in nove arresti. Da ieri, Graziano è al centro del dibattito politico nazionale, con i grillini in testa che ne chiedono le dimissioni: raggiunto al telefono dal Mattino, il leader campano del Pd ha chiarito di essersi autosospeso dalla carica di presidente e di essere disponibile a rispondere alla magistratura, verso la quale ribadisce la propria fiducia.

Ma cosa avrebbe fatto l’organizzatore democrat regionale? Si sarebbe mosso per sbloccare in ambienti governativi romani l’appalto da due milioni per il rifacimento di un edificio storico a Santa Maria Capua Vetere: un intervento che di per sé non costituisce un illecito - bene chiarirlo - ma che viene calato in una trama di intercettazioni ambientali, in cui Alessandro Zagaria ricorda all’amico sindaco di aver garantito sostegno elettorale allo stesso Graziano. Ma chi sono i protagonisti dell’ultima inchiesta della Procura di Giovanni Colangelo? Indagine coordinata dal pool guidato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, dai pm Alessandro D’Alessio, Maurizio Giordano, Luigi Landolfi e Gloria Sanseverino, da ieri in cella è finito, oltre ad Alessandro Zagaria (imprenditore nel campo della ristorazione, ma indicato da due pentiti come legato ai casalesi), anche l’ex sindaco sammaritano Biagio Di Mauro.

Un ruolo centrale, quello del primo cittadino (in carica dal 2011, sfiduciato qualche mese fa, è rimasto in sella grazie a una lista civica, eletto anche con il sostegno del Pd), che avrebbe contribuito a creare una commissione giudicatrice per favorire due imprese napoletane, per la riqualificazione dell’appalto per Palazzo Teti Maffuccini. Appalto gonfiato a dismisura - si tratta di soldi europei - per il rifacimento dell’edificio storico in cui dimorò Giuseppe Garibaldi, nel quale doveva essere ospitata la casa della legalità in funzione antigomorra. C’è una storia nella storia, dietro le presunte mazzette pagate per «cucire addosso» a due imprese un appalto «su misura»: nel ‘93, l’immobile di via Roberto D’Angiò fu sequestrato e dato allo Stato, nell’ambito di un’inchiesta che aveva visto coinvolto il padre di Biagio Di Muro; ventitré anni dopo, la Procura ipotizza un giro di mazzette per la sua ricostruzione.

Decisivo il ruolo dei finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Napoli, agli ordini del comandante Giovanni Salerno, coadiuvati dai carabinieri del comando provinciale di Caserta agli ordini del comandante Giancarlo Scafuri. Stando alla ricostruzione dei pm, un ruolo centrale sarebbe stato svolto dall’ingegnere Guglielmo La Regina, rappresentante legale della Archicons srl, la società che si è occupata della progettazione dei lavori; di Marco Cascella, rappresentante legale della Lande srl, che si è aggiudicato l’appalto da due milioni di euro. Corruttori, secondo il gip Alfano. A chi sarebbero andate le tangenti? Al sindaco Di Muro, ad alcuni componenti della commissione di gara nominata ad hoc, in particolare a Roberto Di Tommaso e a Vincenzo Manocchio, che - stando agli atti - si sarebbero prestati ad agevolare le due ditte napoletane in cambio di soldi. Indagini su una tangente da 70mila euro.

Una mazzetta che sarebbe stata pagata grazie alla creazione di fondi neri, vale a dire sulla scorta di false fatturazioni per prestazioni mai avvenute: alchimie finanziarie costruite a tavolino - dicono gli inquirenti - grazie al lavoro del commercialista Raffaele Capasso, (consulente fiscale e amico di La Regina), e all’ingegnere Vincenzo Fioretto. Altro ruolo decisivo per ricomporre la storia dell’appalto milionario sarebbe stato svolto da una donna, da Loredana Di Giovanni - in alcune intercettazioni indicata come «la rossa» -, libera professionista capace di orientare scelte amministrative del comune sammaritano, ma anche di rendere possibile la triangolazione tra imprese private, il municipio e la camorra targata clan dei casalesi. Professionisti e dirigenti pubblici oggi agli arresti domiciliari, per i quali è doverosa una premessa: tutte le persone coinvolte potranno dimostrare le proprie ragioni nel seguito delle indagini, a partire dai prossimi interrogatori di garanzia. Ma torniamo all’appalto per palazzo Teti. Siamo allo scorso 20 luglio, quando arrivano blitz e perquisizioni, con una ingente acquisizione di carte.

Da allora l’attività si focalizza sul ruolo di Loredana Di Giovanni che, lo scorso 19 settembre sostiene un interrogatorio in cui confessa, confermando - almeno in parte - il carattere opaco dell’appalto.
Intercettazioni, pedinamenti, fotografie di incontri tra la Di Giovanni e Guglielmo la Regina, ma anche tra la donna e Alessandro Zagaria, sono centrali. È la storia di un appalto che si sarebbe bloccato dopo mesi di gestazione, che avrebbe reso necessario un intervento di un politico di spessore, in questo caso indicato proprio in Graziano. È lui che si sarebbe speso per garantire lo sblocco - fatto che, si ripete, non è un reato - ottenendo in cambio un appoggio elettorale attestato da alcune intercettazioni tra l’ex sindaco e il presunto camorrista «filtro» e «garante» negli ambienti criminali dei casalesi.
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