Cina-Italia e i chiarimenti sulla politica estera

di Nicola Latorre
Mercoledì 20 Marzo 2019, 22:14
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Inizia oggi la visita di Xi Jinping in Italia. Un presidente cinese torna nel nostro Paese dopo dieci anni e per il leader cinese è la sua prima volta in Italia. Il ruolo che ha ormai la Cina nello scenario mondiale rende particolarmente significativa la visita. Se n’è parlato martedì scorso in Parlamento con le dichiarazioni del presidente del Consiglio Conte, che ha implicitamente riconosciuto di non poter sottrarsi a un serio passaggio parlamentare prima di decidere su un accordo internazionale così rilevante come quello con la Cina, seppure nella forma di un memorandum. 
Non è del resto un caso se la volontà di aderire alla “Belt and Road Initiative” (nuova Via della Seta cinese) sta provocando uno scontro aspro tra maggioranza e opposizione e all’interno stesso della maggioranza. Ma com’è ormai triste consuetudine anche questa discussione appare solo funzionale alle prossime scadenze elettorali e a quelle di politica interna delle diverse forze politiche, piuttosto che riferita al merito della questione e a qual è oggi la strategia di politica estera dell’Italia che è il tema vero cui allude un atto come il memorandum con la Cina, con così consistenti conseguenze non solo dal punto di vista economico ma anche geopolitico. E su questo né le comunicazioni del presidente Conte né la successiva discussione parlamentare ha fornito i necessari elementi di chiarezza, al di là delle rituali affermazioni di principio.
Giulio Sapelli, nel suo articolo di qualche giorno fa su questo giornale, ha richiamato molto opportunamente l’attenzione sulle dichiarazioni del ministro degli Esteri cinese che, rivolgendosi al nostro Paese, ha fortemente incoraggiato e valorizzato l’adesione italiana al memorandum in nome dell’indipendenza del nostro Paese. Ma è proprio così? Posto peraltro che saremmo il primo e unico Stato del G7 a sottoscrivere quel memorandum e ci apprestiamo a farlo senza alcun confronto con i nostri principali alleati? A partire dal secondo dopoguerra la nostra indipendenza è stata garantita e protetta dalle scelte delle nostre classi dirigenti e di governo oltre che dalla compattezza democratica del popolo italiano che ha consentito di superare prove davvero difficili. Ma tra queste scelte è stata certamente decisiva quella di far parte dell’Alleanza Atlantica e di partecipare attivamente alla costruzione del progetto politico europeo oggi così seriamente insidiato. 
È importante tenerne conto soprattutto ora che si stanno ridefinendo gli equilibri mondiali ed è in corso la forte competizione tra le due più grandi potenze mondiali (Usa e Cina) alle quali si aggiunge come terza forza la Russia. E si va delineando quel tripolarismo che governerà il mondo con il “grande gioco” teso a definire le rispettive sfere di influenza. “Gioco” dal quale un’Europa divisa al suo interno e soprattutto dopo il colpo di grazia della Brexit è sempre più distante e silente. 
Tenendo conto di questi scenari l’Italia è obbligata a valutare gli effetti delle proprie decisioni sul versante della politica internazionale nel medio-lungo periodo senza farsi condizionare dalle emergenze del momento. Non si tratta di rinunciare a un confronto e a possibili accordi anche con Paesi che non fanno parte delle nostre alleanze come la Cina con la quale abbiamo il comune interesse di accrescere buone relazioni bilaterali. Tanto più in una fase economica nella quale si rende necessario incoraggiare investimenti anche dall’estero nel nostro Paese. 
Ma lo stesso presidente Conte ha dovuto riconoscere come fondamentale una strategia unitaria europea nei confronti della Cina per capitalizzare questo rapporto al massimo dal punto di vista economico e garantire una reale autonomia e indipendenza dei nostri Paesi a partire dalla tutela delle infrastrutture strategiche. Vi è poi la portata della nostra relazione transatlantica che non può essere messa sullo stesso piano di altre relazioni sia per la sua natura valoriale che per l’entità anche commerciale. 
Di qui l’urgenza di definire una rotta nella strategia di politica estera che rafforzi le nostre alleanze tradizionali e anche sul tema del rapporto con la Cina non riproponga una sterile competizione tra gli europei. Su tali presupposti va tracciata la linea rossa che nessun tipo di accordo internazionale dovrà superare. Probabilmente sarebbe stato più opportuno non affrettare i tempi della sottoscrizione di questo memorandum, accompagnarla con un serio dibattito sulla politica estera del Paese, confrontarsi preventivamente con i nostri alleati e valutare prima gli esiti del vertice Ue-Cina del prossimo 9 aprile.
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