Donne, giovani e digitale: così il Covid ha colpito di più al Sud

Donne, giovani e digitale: così il Covid ha colpito di più al Sud
di Nando Santonastaso
Lunedì 17 Maggio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 18 Maggio, 20:03
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«Se il Mezzogiorno avesse gli stessi tassi di occupazione del Nord, vedrebbe crescere il suo prodotto interno lordo dello 0,5% all’anno. E l’impatto in termini di produttività sarebbe anche maggiore». Tornano alla mente le parole pronunciate da Fabrizio Balassone, capo della Struttura economica di Bankitalia in occasione degli “Stati generali del Sud” dello scorso marzo, organizzati dalla ministra Mara Carfagna. Perché se è vero che la pandemia in termini di pura statistica economica ha fatto più danni nel Settentrione è altrettanto vero che i suoi effetti sociali sono stati ben più consistenti qui che altrove. Il Covid in un’area già molto debole, con punte record di povertà, disoccupazione e distanza dei giovani dal lavoro ha aggravato disuguaglianze, ritardi e inefficienze già appesantiti dalle crisi del 2008 e del 2011 e da allora mai più risanati. Lo dimostra il fatto che proprio ora che si stanno delineando i primi, timidi segnali di ripresa, è proprio il Sud che fa più fatica ad intercettarli. Se tutte le previsioni di assunzioni per maggio da parte delle imprese, calcolate da Unioncamere attraverso il sistema Excelsior, venissero confermate, il Sud resterebbe comunque sotto di 16mila unità rispetto allo stesso periodo del 2019, l’anno inevitabile di riferimento per capire cosa è successo veramente all’economia nazionale da allora ad oggi. 

Nei mesi delle chiusure e dei lockdown, l’incidenza del Mezzogiorno al capitolo Neet è salita al 32,6%, quasi dieci punti in più del dato nazionale. Un giovane su tre che ha smesso di studiare e di cercare un lavoro insomma abita ormai al Sud. Il tasso di occupazione ha visto il divario del Mezzogiorno rispetto alla media nazionale attestarsi al 15%. Ed è di un altro 15% il gap rispetto alla partecipazione al mercato del lavoro, come spiega l’Istat. Con la pandemia il già modestissimo indice di occupazione femminile, è sceso al di sotto del 40%. 

È su di loro infatti che si sono scaricati gli effetti del lockdown, appena mitigati dalle parziali riprese (l’estate 2020, i primi mesi 2021). A farne le spese soprattutto le donne occupate nei servizi con contratti precari.

La Svimez ha calcolato che nel solo secondo trimestre dello scorso anno la perdita di posti di lavoro femminili al Sud è stata quasi il doppio di quelli creati negli undici anni precedenti, 171mila unità in meno a fronte delle 89mila in più di quel periodo. Fa il 7,3% in meno rispetto al 2019, contro il meno 3,9% del Nord. 

Il tasso delle persone in povertà, secondo gli ultimi rilevamenti dell’Istat, dal 2020 ad oggi è arrivato nel Mezzogiorno all’11,1%, più di una persona su dieci per essere chiari. Sotto la soglia di povertà assoluta ci sarebbero al momento 2,200 milioni di persone. È vero che l’incremento maggiore in questa tristissima classifica si è registrato al Nord a causa sempre del maggiore impatto dell’emergenza sanitaria e socio-economica: ma è purtroppo anche vero che resta al Mezzogiorno il primato assoluto. 

Nella relazione 2020 del Cnel si legge che la pandemia ha accelerato il gap Nord-Sud anche nella spesa sanitaria pubblica pro capite: rispetto a una media nazionale di 1.838 euro annui, è rimasta molto più alta al Nord che al Sud (2.255 euro a Bolzano e 1.725 euro in Calabria). Magra consolazione (si fa per dire) che la spesa di tasca propria dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Paesi europei sia in termini di incidenza sul Pil pari al 2,3% in Italia rispetto all’1,7% della Germania e all’1,9% della Francia e inferiore a Spagna e Portogallo: la sostanza, spiega sempre il Cnel, è che «restano notevoli, sulla base di tutte le analisi disponibili, le differenze tra territori e categorie sociali in termini di offerta sanitaria e di sua qualità, nonché quelle relative al rispetto del diritto universale di accesso alle cure». 

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L’Indice Sintetico dell’Economia Meridionale, misurato da Srm e Confindustria, è calato a causa della pandemia di oltre 40 punti rispetto al 2019, il tonfo più in basso registrato dal 2007. Un flop così clamoroso che la ripresa stenterà, come detto, a manifestarsi al Sud con la stessa intensità del resto dell’Italia. Per il 2021 e 2022 la previsione infatti è che la crescita del Pil sarà sensibilmente più debole (rispettivamente +1,2% e +1,4%) rispetto al Centro-Nord (+4,5% e +5,3%). I segnali migliori continuano ad arrivare dall’agroalimentare, dal farmaceutico (+2% e +3,5% rispettivamente) e in parte dal manifatturiero: ritornare ai livelli del 2019, però, sarà a dir poco arduo. Non a caso il Rapporto sulla competitività dell’Istat cristallizza l’entità del crollo del valore aggiunto provocato dalla pandemia nel 2020: -11% nell’industria in senso stretto, -8,1% nei servizi, -6,3% nelle costruzioni e -6% nell’agricoltura. 

È il nodo della crisi e della possibile ripartenza. In termini di fatturato, la crisi ha colpito duramente il terziario che ha segnato la flessione più bassa, il 12%, da quando esiste l’indicatore dei Sistemi del lavoro dell’Istituto di statistica. E per il turismo il Covid è stato un vero e proprio shock: il 2020 è stato l’anno peggiore da quando si registrano i flussi turistici: -74% le presenze, -59,2% gli arrivi. Per l’88% delle agenzie di viaggio/tour operator e per il 47% delle imprese di trasporto marittimo i ricavi si sono più che dimezzati o azzerati. Il 49% delle imprese dei settori legati al turismo ha segnalato rischi di chiusura nel primo semestre 2021 (71% nelle agenzie di viaggio, 67% nel trasporto aereo e 53% nella ristorazione). 

Ma forse è qui, sulla frontiera dell’innovazione digitale, che si combatte la sfida più dura e peraltro necessaria, quella per intenderci legata all’utilizzo delle risorse del Pnrr. Il divario tra il Nord e il Sud, infatti, è salito a 10 punti percentuali, 3 in più rispetto a dieci anni fa. La crisi economica, la povertà, le incognite sul futuro hanno appesantito uno scenario già noto, con conseguenze pericolose soprattutto per i giovani di famiglie modeste sul piano sociale e reddituale: le statistiche di Deloitte spiegano che solo il 59% delle famiglie del Sud dispone di un computer e di una connessione, a fronte del 70,7% nel Centro e del 69,8% nel Nord. Un gap enorme che ha pesato sia sulla didattica a distanza sia sulla formazione della cultura digitale degli under35. Non è un caso che il 68,2% dei giovani che vivono ancora in famiglia abiti al Sud.

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