Da Weinstein al ginecologo di Palermo
perché non “tutto è zuppa”

di Titti Marrone
Giovedì 2 Novembre 2017, 23:55
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Sul ginecologo palermitano Biagio Adile, fin qui professionalmente rispettato e apprezzato, si è abbattuta un’accusa difficilmente confutabile. Stupro reiterato di un’immigrata tunisina ventiseienne, con una prova equivalente quasi alla pistola fumante dei delitti: un video girato dalla ragazza con il cellulare dopo lo choc della prima violenza, esplicito nel documentare quanto è accaduto più volte. Il medico è stato arrestato e, se l’accusa risulterà confermata dalle indagini in corso anche per appurare l’eventuale esistenza di altre sue vittime, risulterà colpevole di una delle peggiori forme di sopraffazione ai danni di qualcuno. Perché, invece di assicurare cura e assistenza a una donna affetta da complicati problemi clinici e che gli si era affidata con assoluta fiducia, il ginecologo avrebbe tradito lo statuto stesso della sua professione approfittando nel peggiore dei modi della propria situazione di potere. 

Una vera, inequivocabile, evidente violenza sessuale che, se confermata, non dovrebbe suscitare divisioni tra innocentisti e colpevolisti, zittendo anche i difensori del dottore pronti a giurare sulla sua estraneità ai fatti, a proclamare sul suo profilo Facebook la propria incredulità e magari anche a inanellare la solita solfa che la ragazza probabilmente ci aveva messo del suo e insomma se l’era andata a cercare. Ma c’è anche la possibilità che, nel bailamme suscitato dal caso Weinstein e dalle successive rivelazioni a grappolo arrivate a colpire Kevin Spacey, Dustin Hoffman, Brett Ratner e di sicuro prossime ad abbattersi su altri succulenti nomi dello showbiz, uno stupro del genere, cioè senza i lustrini e le luci della ribalta hollywoodiana, ispiri poco o niente chi inonda i media di riflessioni o dice la sua sui social sul pettegolezzo di giornata. Perché il mercato della notiziabilità è sempre più dominato dal gossip vojeuristico, ben illustrabile con sensazioni messe in posa da infinite foto di repertorio dove, a ben cercare, si trova la giusta espressione evocativa per il profilo da vittima e/o carnefice. E su quel mercato lì, uno stupro “normale” come quello di Palermo, pure se documentato, vale infinitamente meno di una voce dal sen fuggita dopo trentun anni, come quella dell’attore Anthony Rapp, primo accusatore di Kevin Spacey. E poi – vogliamo mettere? - dalle parti di Hollywood tutto è spettacolo, e il glamour è assicurato anche in versione hot, specialmente se i particolari titillano l’immaginazione. 

Così va a finire che, come direbbe il Gurdulù di Calvino, “tutto è zuppa”. Nel gran calderone dell’informazione-intrattenimento corroborata dai fondamentali aromi aggiunti dai social, cuoce da giorni una broda in cui si mischiano e si confondono omosessualità e pedofilia, molestie e stupri, abusi e corteggiamenti, avances e palpeggiamenti. Se ne è ormai perso il conto e, quel che è forse peggio, anche il senso. Si è ben oltre la “fase uno”, in cui è sembrato che fosse infranto un tabù e molte donne avessero trovato il coraggio di denunciare i soprusi subìti da uomini di potere resi intoccabili – ma a volte anche un po’ desiderabili – dallo scettro di cui approfittavano biecamente. In quella stessa fase, per la verità, non sarebbe stato sbagliato distinguere tra un abuso tentato ma schivato, una proposta respinta al mittente, una violenza subìta e uno scambio di sesso con opportunità di carriera garantita. Anche se è pur vero che in primo piano rimbalza sempre la figura del maschio predatore che usa il proprio potere in modo ricattatorio e pone il problemone di una rieducazione globale di tutti gli analfabeti dei sentimenti. Però dev’esser chiaro che si tratta di cose diverse.

La mano messa ripetutamente dal ministro inglese sul ginocchio della giornalista nel 2002 non è proprio la stessa cosa dello stupro del ginecologo alla ragazza tunisina di Palermo, un atto che può devastare per sempre nel corpo e nella mente. La proposta di fare sesso da parte di una persona potente può essere affare privato tra maggiorenni ed è insopportabile sopruso se viene rivolta a un minorenne. Ma è faccenda diversa anche a seconda del modo in cui si svolge e si conclude la vicenda. Dice bene Natalia Aspesi quando fa notare che «questa confusione… mette in ombra le violenze, gli stupri perpetrati da uomini qualsiasi su donne o ragazzi qualsiasi». E ha ragione la comunità Lgbt quando sottolinea che l’omosessualità dichiarata da Kevin Spacey dopo l’accusa a lui rivolta da un Rapp all’epoca quattordicenne non deve indurre a facili equazioni del tipo “omosessuale = pedofilo”. 

Il pericolo è che quest’ondata indistinta di scoop, rivelazioni, accuse a sfondo sessuale, dia fiato a una specie di neo-puritanesimo ipocrita buono per oscurare e confondere tutto con tutto sotto la coltre di morbose narrazioni a base di sesso scandite con modalità da fiction tv. Valerio Caprara non sbaglia a temere che da Hollywood si possa sollevare il vento di una nuova caccia alle streghe dove il cinismo e la strumentalizzazione si mischiano con una certa ammorbante atmosfera da regolamento dei conti. Perché, sempre di più, a essere decisivi non sono tanto i fatti accertabili, ma l’inclinazione della gente nei confronti delle versioni in circolazione: la famosa post-verità che fa preferire le emozioni – e le ipotesi- da ciascuno predilette ai dati di realtà. 
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