De Luca: «Oggi non rifarei politica neppure se messo sotto tortura»

De Luca: «Oggi non rifarei politica neppure se messo sotto tortura»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 28 Novembre 2017, 22:54 - Ultimo agg. 23:14
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Parla di «stanchezza della democrazia», usa toni sferzanti nei confronti dell’inchiesta sulla frittura di pesce (leggi: ipotesi di voto di scambio) da cui è stato archiviato mesi fa, diventa malinconico quando ripensa alle ripercussioni delle indagini penali sui propri figli. Eccolo il governatore Vincenzo De Luca, interviene sulle presunte anomalie del processo penale e mediatico in Italia, prendendo la parola subito dopo il procuratore di Napoli Gianni Melillo. De Luca ammette: «Se dovessi cominciare oggi la mia attività politica, non lo farei neppure sotto tortura. Oggi è diventato difficile trovare una qualsiasi persona perbene (parlo di un docente o di un imprenditore, di un avvocato o di un qualsiasi altro professionista) disponibile ad intraprendere un impegno di natura politica». Parla a braccio, il governatore, sulle presunte distorsioni dei rapporti tra pm, media e frange della politica (riferimento ai pentastellati): «C’è una progressiva e totale delegittimazione del ceto politico, delle istituzioni, tanto che a volte mi chiedo: quando avremo portato al massimo questa delegittimazione, chi metteremo a guidare il Paese, il pilota automatico?». Si sforza di rimanere distaccato, di non cadere nel tranello delle generalizzazioni, ma torna sul proprio bagaglio di esperienze, prima da sindaco, poi da presidente della giunta regionale. E lo fa nel chiuso dell’aula Metafora del palazzo di giustizia, a pochi passi dalle aule in cui i giudici del Tribunale civile nel 2015 diedero il via libera alla sua esperienza di governatore (superando i lacci della Severino), e a pochi metri dalla stessa Procura di Napoli che ha indagato per qualche mese (salvo chiedere l’archiviazione) sul cosiddetto patto della fritturina di pesce prima del referendum dello scorso dicembre. Spiega oggi De Luca: «Sconvolgono la paura, la tensione permanente presenti oggi in Italia, che colpisce qualsiasi amministratore della cosa pubblica. Oggi amministrare la cosa pubblica diventa un atto di eroismo. Pensiamo alla legge Severino: una condanna in primo grado ti rovina la vita, comporta il dimezzamento dello stipendio, il demansionamento, l’allontanamento da incarichi direttivi. Eppure, proviamo a metterci nei panni di un dirigente o un amministratore che deve approvare una variante urbanistica, in un paese che conta 200mila leggi e in cui il codice degli appalti cambia di anno in anno. Quale sicurezza ha questo dirigente? Nessuna». Ed è ancora un richiamo alla propria esperienza da sindaco: «Sulla scrivania mi arrivano tre pareri di legittimità, metto una firma forte di quei pareri, e nonostante tutto non c’è ancora chiara la distinzione tra amministrazione e politica». Non mancano critiche al sistema di informazione, «che entra nella vita tua e dei tuoi figli, la sconvolge in modo irrimediabile», anche alla luce delle nuove figure di reato introdotte dal Legislatore, come il traffico di influenze. Spiega il governatore: «Un amministratore può sbagliare un atto, non per questo deve essere abbinato a fatti di corruzione». Inevitabile a questo punto la storia dell’accusa di voto di scambio, della riunione di centinaia di sindaci del Pd al Ramada, del comizio in favore di Renzi. È il capitolo voto di scambio: «Vogliamo parlare della campagna referendaria di un anno fa? Non registravo un clima di particolare passione per questo appuntamento alle urne, feci una riunione di duecento amici per invitarli a votare. C’era un clima disteso. Ripeto, tra amici: vidi seduto in prima fila il sindaco di una città del Cilento (il governatore si riferisce al primo cittadino di Agropoli Franco Alfieri) e da vecchio marpione qual era, gli dissi che doveva mettere in piedi delle clientele, alle quali avrebbe sicuramente offerto cene e fritture di pesce». Cosa accadde allora? «Uno dei rivoluzionari moderni (De Luca si riferisce agli esponenti del movimento cinque stelle) fa una interrogazione parlamentare, tanto da rendere automatica la obbligatorietà dell’azione giudiziaria, con tanto di apertura di un fascicolo a mio carico». Cosa accadde allora? «Non ci credevo. Quando mi dissero che avevano aperto un fascicolo su di me non ci credevo. Ora la domanda è questa: pensate che questo Paese possa competere con Germania, Giappone o Sud Corea?». L’ultima considerazione riguarda il caso dell’ex ministro Federica Guidi (citato nel libro Fino a prova contraria, di Annalisa Chirico), costretta alle dimissioni non da un avviso di garanzia, ma dall’intercettazione in cui si lamentava con il compagno imprenditore perché si sentiva trattata come «una sguattera del Guatemala», nel corso dell’inchiesta sul sito lucano Tempa rossa. Spiega De Luca: «Da uomo ho provato vergogna per il massacro della vita di una donna, costretta ad uscire dalla vita politica, a fronte di un’inchiesta che ha partorito il nulla». 
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